Tra abusi e nuove condanne: il buio del carcere minorile si fa più scuro

È del 22 aprile scorso la notizia dell’arresto di tredici agenti penitenziari per abusi a danno di minori detenuti nel carcere Cesare Beccaria di Milano: i racconti sono alquanto raccapriccianti, tra molestie, tentativi di stupro, torture e soprusi di ogni genere, reiterati in modo sistemico per qualsiasi scusa o espediente. Se da una parte ne risulta inorridita, sembra tuttavia che l’opinione pubblica si stia abituando a questa sorta di notizie: “mele marce“, “casi deviati e isolati” sono i titoli dei maggiori tabloid. Ma i casi sono sempre più numerosi, fissi e troppo uguali l’uno all’altro per poter pensare ancora di parlarne in termini di casi estremi. È un modus operandi che si sta inasprendo, una violenza ordinaria frutto di un sistema sociale e politico che sta volutamente reprimendo la fascia giovanile della nostra società con nuovi espedienti burocratici, come il decreto Caivano, che rendono sempre più semplice per i minori entrare a contatto con la realtà carceraria. Il tutto rientra d’altronde in una condizione delle carceri italiane allo stremo, con sempre meno strutture adeguate, meno personale controllato e un tasso di suicidi che dovrebbe seriamente preoccupare riguardo lo stato di sanità della popolazione detenuta.

Il nodo alla gola dei detenuti

A illuminarci su questa realtà nascosta è da sempre l’Associazione Antigone: con il suo nuovo report Nodo alla gola già dal titolo lascia intuire la condizione soffocante in cui versano i detenuti. Prima fra tutte le problematiche è da citare quella del suicidio. « In carcere ci si leva la vita ben 18 volte in più rispetto alla società esterna1 » scrive Antigone. L’altissimo tasso di suicidi che sta interessando il mondo carcerario è forse la spia più lampante, ma allo stesso tempo inaudita, della condizione pessima delle carceri. Sovraffolamento, condizioni igeniche e di viviblità allo stremo, per poi ritornare alle cause da cui trae spunto l’articolo, ovvero abusi e violenze da parte di un personale sempre più autoritario. Nonostante i numerosi casi succedutisi dall’anno scorso, e le cifre in inarrestabile aumento, l’opinione pubblica rimane perlopiù indifferente, sempre più narcotizzata da una comunicazione pessima dei mass media – che tirano in causa i disturbi psicologici o casi isolati – e da una generale apatia verso coloro che sono visti come criminali, esclusi dalla società: soggetti per i quali una pena detentiva in pessime condizioni, se non addirittura la morte, sembrerebbe il giusto compenso.

Generazione perduta

Stiamo assistendo allo stesso tempo ad un vero e proprio inasprimento delle condanne e sanzioni contro la fascia giovanile. La cifra dei minori nelle carceri sta infatti rapidamente crescendo, secondo il rapporto di Antigone: dalle 496 presenze negli IPM (Istituti Penitenziari Minorili) di fine 2023 in pochi mesi si sono raggiunti i 5322; basta infine pensare che negli ultimi dieci anni non si era mai raggiunto il numero di ingressi registrato nel 2023. Si sta sgretolando quella specificità positiva che era propria del nostro ordinamento giuridico minorile, improntato su un approccio educativo che vedesse nel carcere l’ultima soluzione possibile per il minore. Invece ora, soprattutto dagli stravolgimenti attuati dal decreto Caivano, il modello che l’Italia rappresentava per l”intera Europa sta svanendo. È proprio il decreto Caivano ad aver ampliato le possibilità di ricorso al carcere in fase cautelare. Infatti, solo una piccola percentuale dei giovani detenuti negli IPM sconta un’effettiva pena: la maggior parte è in custodia cautelare, si tratta perciò di soggetti per cui si sarebbero potute considerare opzioni alternative.

Riguardo ai tipi di delitti, ben il 55,2% riguarda reati contro il patrimonio, una categoria con fattispecie meno gravi. Ma la gravità del reato non è l’unico parametro da dover considerare per capire chi entra o no in carcere. Come ci dice Antigone: « Tra gli altri fattori c’è sicuramente quello della maggiore facilità a individuare percorsi alternativi per coloro che a monte sono già maggiormente garantiti. A prescindere dalla gravità del reato commesso, chi ha legami più solidi sul territorio e più opportunità di partenza ha anche maggiori possibilità di evitare la carcerazione ». La solita discrepanza che esprime una profondissima diseguaglianza, che si riversa in particolare sui minori stranieri: infatti più la misura risulta severa e contenitiva, più a rappresentarne la maggior percentuale colpita sono proprio i ragazzi stranieri, spesso accusati di favoreggiare l’immigrazione clandestina mentre sono in realtà loro stessi ad esserne vittima.

Non si può non collegare questo fenomeno ad altri temi scottanti dell’attualità, direttamente o indirettamente legati ad esso: gli ecovandali e le baby gang. Essendone protagonisti proprio i giovani, sono loro a finire nel mirino di una serie di nuove terminologie ed escamotage burocratici volti a imporre maggior repressione ad un’intera generazione sempre meno tutelata su tutti i fronti. Per non parlare della strumentalizzazione del fenomeno baby gang, che con superficialità dipinge sparuti gruppi di sbandati guidati dal caos, intrisi di cattive abitudini, videogiochi e violenza, visti come prodotto della gioventù stessa dei giorni nostri, senza invece contestualizzare il contesto più ampio e le cause sistemiche e sociali all’origine di questi episodi – troppo spesso autoprodotti dalla società e dal sistema legislativo.

Il solito scarto della società

Tutto questo stato delle cose non è solo conseguenza delle politiche attuate, perchè alla loro base c’è sempre la prospettiva con cui si guarda al fenomeno della devianza, del crimine e di chi la mette in atto. Una prospettiva che continua a giudicare chi commette reato come fuori dalla norma, un errore del sistema più vasto che è la società e il suo ordine, senza riflettere sulle cause più vaste che hanno condotto a quel tipo di comportamento, e che finisce per addossare l’intera responsabilità dell’atto al singolo individuo. E se è l’individuo ad essere deviante, non c’è altra soluzione che il carcere, la punizione. Se questo discorso lo si affronta poi per i più giovani, lo stereotipo del criminale in sé si incrocia con quello di una generazione senza più valori, disillusa, superficiale e “sfaticata”, quasi intrinsecamente portata a commettere crimini per il gusto di farlo. Una gioventù sempre più minacciata quindi non solo da crisi economica, precarietà e riscaldamento globale, ma che deve far fronte ad una ulteriore privazione delle sue libertà e possibilità di futurp. Una fetta di società che viene esclusa, volutamente nascosta – non solo figurativamente, ma fisicamente, nella separazione dell’istituzione carceraria. Un luogo sempre più buio, con sempre meno tutele, nel quale si relegano tutti i problemi che non si vogliono vedere o risolvere, nel quale si rinchiude ciò che disturba, ciò che dissente, ciò che “devia”.

Rachele Gatto

FONTI

  1. https://www.internazionale.it/opinione/giuseppe-rizzo/2024/04/23/violenze-carcere-beccaria-milano ↩︎
  2. https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/minori/ ↩︎

Fonte immagine in evidenza: ErikaWittlieb da Pixabay

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