La Resistenza come fenomeno letterario e gli ideali di cui si fece portavoce

Soldati della 55ª Brigata partigiana “Rosselli” durante la parata della vittoria nel centro di Milano (25 Aprile 1945)

La Resistenza, ovvero il movimento di liberazione dal nazifascismo sorto durante la Seconda Guerra Mondiale, fu un fenomeno dal valore tanto storico quanto ideale

Coloro i quali vi presero parte si impegnarono a resistere, cioè a opporsi ai regimi dittatoriali, attraverso operazioni di lotta, guerriglia e sabotaggio. Avvertivano se stessi come l’avanguardia di un’eccezionale società umana, ovvero come gli iniziatori di un percorso che avrebbe condotto ad un mondo migliore dal punto di vista umano, nel quale mai a nessuno sarebbe stata negata la libertà. In ciò consiste la causa a cui si votarono i partigiani, nella maggior parte dei casi pagando con la vita.

La Resistenza si configurò come un avvenimento di enorme portata che coinvolse l’intero continente e attirò membri di ogni età ed estrazione sociale: non fu unicamente una lotta armata e anzi comprese, per esempio, gli scioperi delle fabbriche, il soccorso fornito dai contadini ai partigiani e le informazioni trasmesse grazie alle “staffette”.

Fondamentale fu il ruolo delle testate giornalistiche clandestine, a cui contribuirono prevalentemente intellettuali antifascisti e membri delle brigate partigiane, che reagirono alla repressione e censura dittatoriale rendendosi portavoce dei principi di giustizia, libertà e democrazia. Ricordiamo, fra i molti, i giornali italiani Giustizia e Libertà”, che prende il nome dal movimento liberal-socialista istituito dai fratelli Rosselli, e “L’Unità”, quotidiano fondato da Antonio Gramsci, segretario del Partito Comunista d’Italia.

La Resistenza determinò, inoltre, grande fermento letterario: numerosi autori fecero luce sui diversi aspetti dell’esperienza resistenziale, ciascuno dal proprio irripetibile punto di vista. Nel 1949, Italo Calvino pubblicò un articolo sulla rivista “Il movimento di liberazione in Italia”, a proposito della letteratura italiana relativa agli anni dell’occupazione nazifascista, di cui discute anche nella prefazione a “Il sentiero dei nidi di ragno”.

Tra gli autori che Calvino cita, figurano Beppe Fenoglio, Cesare Pavese e Salvatore Quasimodo. Il primo, in “Una questione privata” (1963), delinea la vicenda del giovane protagonista, Milton, unitosi ai partigiani, alla disperata ricerca di un ostaggio da poter scambiare per l’amico Giorgio, catturato dai fascisti. La narrazione illustra la quotidianità di giovani studenti universitari stravolta dalla guerra, la quale incide radicalmente anche sui rapporti interpersonali.

“La casa in collina” (1948)  di Pavese, è un romanzo in cui la lotta partigiana suscita considerazioni di carattere esistenziale e che contiene numerosi rimandi autobiografici, poiché l’autore si identifica nel protagonista Corrado, che vive il senso di colpa e inettitudine generato dall’incapacità di prendere parte alla realtà, di agire e schierarsi in un conflitto che non risparmia nessuno, di cui, al contrario, subisce gli effetti in modo passivo e disilluso.

L’atteggiamento che il protagonista del romanzo esemplifica rappresenta, in parte, il bersaglio della critica del filosofo e giurista Norberto Bobbio, che, in una riflessione inedita pubblicata in “Eravamo ridiventati uomini” (2015), ammonisce gli apologeti del fascismo affermando: La storia è una selva intricata, dove non vi è libero che un piccolo sentiero che conduce all’aperto. Nei momenti cruciali ci pone di fronte a dure alternative. O di qua o di là. Ciò significa che in determinate situazioni è necessario assumere una posizione risoluta, in quanto l’azione (o inazione) di ciascuno contribuisce al realizzarsi di conseguenze che coinvolgono l’intera collettività.

Nel 1956 venne pubblicata la raccolta di poesie “Il falso e vero verde”, composta da Quasimodo, che diede vita a versi in cui espone il tema del ruolo del poeta nella civiltà contemporanea, il cui compito consiste nel “cambiare il mondo” fornendo la propria testimonianza e inserendosi attivamente nella società attraverso l’impegno politico. La sua visione civile della poesia rappresenta la risposta al silenzio a cui gli intellettuali furono costretti dai regimi, intenti a preservare l’ordine politico impedendo la circolazione di idee non conformi ai “disvalori” che veicolarono per mezzo dell’intensa attività propagandistica.

Il componimento intitolato “Ai quindici di Piazzale Loreto” è dedicato ai partigiani fucilati per rappresaglia durante l’eccidio del 1944. Quasimodo ricorda i nomi dei caduti e negli ultimi tre versi chiarisce che la poesia non deve limitarsi a piangere chi non c’è più, ma restituire speranza e fiducia nel futuro, celebrando la rinascita: La nostra non è guardia di tristezza, / non è veglia di lacrime alle tombe: / la morte non dà ombra quando è vita.

Dunque, la nostra letteratura continua a mantenere vivi i valori della Resistenza, intesa come sentimento di ribellione morale e dedizione spassionata a un ideale di redenzione umana, non riconducibile all’aderenza ad un partito politico, quanto al rilucere di una voce interiore della coscienza, che travalica ogni confine accomunando forze eterogenee in vista del raggiungimento di un fine condiviso: la libertà democratica. Perciò occorre anche pensare la Resistenza come invito alla politica, in quanto ciascuno concorre a preservare l’equilibrio della pace, che le “astensioni” indeboliscono.

Furono questi alcuni degli ideali per cui molti si dichiararono disposti a morire, come testimonia una delle numerose lettere dei condannati a morte, scritta dal partigiano Bruno Frittaion, studente friulano di diciannove anni fucilato nel 1945: […] mi hanno condannato alla morte, mi uccidono; però uccidono il mio corpo, non l’idea che c’è in me. Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa, per una giusta causa e spero che il mio sacrificio non sia vano anzi sia di aiuto nella grande lotta. […] Per me la migliore ricompensa era quella di vedere fiorire l’idea che purtroppo per poco ho servito, ma sempre fedelmente. (Lettera a Edda, 31 gennaio 1945)

Gaia Romano

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Bella sintesi per un giorno fondamentale. Buona Liberazione.

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    1. Gaia Romano ha detto:

      Grazie mille

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