Ricetta per una protesta politica funzionante: latte, ghiaccio e banana

Il re è nudo. O forse no, ma sicuramente fradicio dopo aver ricevuto un frullato in faccia.

Questo è quanto successo qualche giorno fa a Nigel Farage, sostenitore della Brexit, candidato alle prossime elezioni britanniche. La prima volta è avvenuta nel 2019 e ora, dopo ben 5 anni, si è ritrovato nuovamente a essere vittima di milkshaking, termine entrato nel lessico comune inglese per identificare la pratica – che, avendo ricevuto un’etichetta ben precisa, dev’essere piuttosto comune – di lanciare milkshake addosso agli esponenti politici di destra per protesta. Altre sono state le vittime nel corso degli anni di questa rivolta a suon di latticini, tra cui il cofondatore della English Defence League Tommy Robinson che, in particolare, ha denunciato l’atto definendolo “di estrema violenza politica”, paragonandolo al tirare acido in faccia a qualcuno.

Senza dibattere ulteriormente sul ridicolo livello di pericolosità che un frullato alla banana del McDonald’s possa causare, notiamo invece il livello di attenzione e di risonanza che quella bevanda ha causato: la notizia è subito andata virale in tutto il mondo e sul web sono tantissimi i meme a riguardo, con tanto di musichette comiche e zoom tattici sul volto zuppo e stizzito di Farage. Il milkshaking porta inevitabilmente gli occhi della società sull’oggetto della protesta, ponendo brutalmente fine al silenzio – a causa dell’ignoranza in merito, ma talvolta anche dell’ipocrisia – davanti alle ingiustizie sociali; di conseguenza, si va a generare un dibattito acceso tra consenso e dissenso. Purché se ne parli, diceva Dorian Gray. Nello scenario migliore, chi non era a conoscenza della situazione cercherà di informarsi sul perché un politico di estrema destra sia così odiato.

Gli inglesi sostengono che il cibo sia un’ottima arma di protesta, e non hanno assolutamente torto. E’ importante tenere presente che il cibo non è solo la fonte di sostentamento di cui necessitiamo, ma il nostro rapporto con esso ha plasmato la nostra esistenza e la nostra evoluzione nel corso dei secoli; proviamo a pensare alle numerose rivoluzioni agricole che abbiamo studiato sui libri di scuola e confrontiamole col nostro tempo. Il “se non hanno più pane, che mangino brioche”, erroneamente attributo a Maria Antonietta (e alla ghigliottina che ne è derivata), ha posto fine all’antico regime francese, la tassazione sul tè del 1773 da parte del Regno Unito ha portato al Boston Tea Party, la Grande carestia irlandese ha dato alla luce i presidenti Kennedy. Che sia una causa, un’arma di protesta o una conseguenza, dobbiamo prendere atto del fatto che il cibo è politica, in tutto e per tutto.

Certamente oggi non saranno i prodotti caseari scaraventati in faccia alle persone a farsi promotori di una rivoluzione su ampia scala, ma il forte gesto simbolico che si cela dietro dimostra quanto il cibo sia sempre stato uno strumento di dissenso piuttosto efficace. Nel pieno della globalizzazione, una pratica così antica e “barbara” resta la favorita dai manifestanti e continua a funzionare. Prima di tutto, costituisce un’evidente presa di posizione della società contro le classi dirigenti, con un gesto eclatante e coraggioso che non passa certamente inosservato. Inoltre, lo stesso utilizzo di un prodotto del fast food testimonia la potenza dell’atto: un simbolo del sistema capitalistico occidentale viene impiegato come arma contro gli stessi promotori del consumismo estremo e del suprematismo bianco. E l’efficienza del milkshaking trionfa anche dal punto di vista emotivo, in quanto genera umiliazione. A detta di molti, infatti, non c’è nulla che i grandi politici temano di più della gogna pubblica, della perdita di serietà e credibilità davanti al popolo a causa di uno scivolone. Un’osservazione che fa un po’ sorridere, se ripensiamo alla dichiarazione del nostro Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, qualche anno fa, in merito al “prezioso valore educativo” dell’umiliazione nei confronti degli studenti. E se la ministra Roccella grida alla censura quando un paio di ragazzi alzano la voce, chissà cosa penserebbe se si ritrovasse in Inghilterra.

Certamente un’aggressione, anche se a base di latte e banana, rimane comunque tale. Ma forse, sul piano dell’azione concreta, questa potrebbe essere una ricetta alternativa e funzionante (almeno per ora) per generare maggiore attenzione sulle questioni sociali. Un milkshake non è nemmeno così inusuale da portare in giro, a differenza di uova o pomodori.

Monica Poletti

Fonte: The New Republic

Copertina: AdnKnronos

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