“Aldo dice 26×1” – La liberazione di Torino

“Aldo dice 26 per uno alt nemico in crisi alt attuate piano E. 27 alt” recita il telegramma inviato, la sera del 24 aprile, dal CLNP (Comitato di Liberazione Nazionale del Piemonte) e dal Comando Militare Regionale del Piemonte (CMRP) alle brigate partigiane piemontesi. L’ordine è quello di attaccare il 26 aprile all’una.

Ma facciamo un passo indietro.

Il 18 aprile 1945 il CLN del Piemonte e i Comitati d’agitazione delle fabbriche proclamano lo sciopero generale “contro la fame e il terrore”. La mattina del 19 aprile Torino è ferma e paralizzata, se non per l’imponente corteo che sfila per le vie della città, nonostante gli intimidatori autocarri tedeschi. Il lavoro viene ripreso il giorno dopo, come da disposizione del CLN. Non era ancora giunto il momento dell’insurrezione.

Il momento arriva quindi tra il 24 e il 25 aprile: liberate Bologna, Modena e Reggio Emilia, Genova insorge. E dopo Genova, Milano, la Lombardia, il Piemonte e Torino.

Secondo il piano del CMRP dovevano essere impiegati nella liberazione di Torino in primo luogo le forze cittadine, per un totale di circa 1865 uomini, divise in 5 settori; 7130 uomini di secondo impiego; e le forze partigiane provenienti da fuori città, con altri 7400 uomini a disposizione. Le brigate autonome, le garibaldine delle Langhe e le due divisioni “Giustizia e Libertà” del cuneese, per un totale di 3900 uomini, avevano la funzione di riserva strategica.

Nella notte tra il 25 e il 26 aprile, inizia l’occupazione delle fabbriche: i lavoratori preparano febbrilmente le postazioni di difesa sbarrando i cancelli e montando le mitragliatrici. Costruiscono muretti e trincee con il materiale più disparato, posizionando anche dei blocchi di ghisa per ostruire il passaggio. In molte di queste fabbriche l’ufficio di sabotaggio e controsabotaggio del CLN aveva preso contatti con responsabili e tecnici di molte aziende per le operazioni di difesa degli impianti, del trasporto e dell’occultamento delle armi. La FIAT Mirafiori, dove lavorano tredicimila operai di cui duemila donne, è attaccata alle 18 con tre carri armati e dieci autoblinde dai tedeschi, presto ricacciati indietro da lavoratori e lavoratrici. Oltre alla FIAT sono attaccati anche gli stabilimenti SPA, Lancia, Grandi Motori, Nebiolo e Ferriere Piemontesi.

La battaglia infuria anche in città: la stazione Porta Nuova viene attaccata da tre carri armati, ma i ferrovieri della brigata SAP “Lino Rossone” e i Gappisti resistono, mettendo in fuga i tedeschi; a Stura i partigiani sono costretti ad indietreggiare, mentre alla stazione Dora, dopo ore di guerriglia, hanno la meglio le forze partigiane, grazie ai Sappisti della 7° e ad un distaccamento della 17° brigata “Garibaldi”, che riescono a fermare su corso Principe Oddone una colonna motorizzata di tedeschi in marcia verso stazione Dora.

Arriva una prima proposta di tregua da parte dei fascisti. Quasi alla stessa ora, arriva dai tedeschi la disponibilità a sgomberare la città, a patto che sia loro concesso di potersi dirigere su Milano. La riposta del CLN è chiara: no a entrambe le proposte. Il CMRP fa sapere al comando tedesco che esige la resa incondizionata.

I combattimenti si fanno più aspri e disperati: i repubblichini riescono a rioccupare la Questura e il Municipio, ma una colonna di “Giustizia e Libertà” riesce ad occupare il Gazometro di Porta Susa, e nella giornata del 27 aprile vengono liberate Barriera di Milano e le Carceri Nuove. Le forze partigiane fuori città, nel frattempo, ricevono finalmente l’ordine dal CMRP di entrare a Torino: il colonnello inglese Stevens, a capo delle missioni alleate, con un ordine contrario a quello del 24, aveva ritardato l’entrata delle forze partigiane in città. Sempre il 27 aprile il generale Schlemmer si dice disposto a capitolare, purché venga lasciata la via libera per Milano. Il CMRP rifiuta, cosciente del grave pericolo che una simile concessione potrebbe rappresentare per le città appena liberate. Nel mentre cadono, una dopo l’altra, le caserme di via Asti, Valdocco, Montenero e Cernaia.

Tra il 28 e il 30 aprile le strade centrali della città sono teatro del cecchinaggio fascista, che il 28 investe il corteo della giunta. Ai cecchini repubblichini risponde il fuoco Gappista e Sappista. I componenti della giunta con il nuovo sindaco, Francesco Roveda, e la vicesindaco, Ada Gobetti, riescono a raggiungere il Municipio, ma le finestre diventano vittime dei fucili fascisti: l’azione di cecchinaggio colpisce anche loro.

Tra il 29 e il 30 aprile Torino è libera, ma i cannoni del generale Schlemmer incombono ancora minacciosi. La sera del 30 le unità nemiche, ammassate a Rivoli, sono in movimento per Collegno-Venaria-Settimo: considerato impossibile superare gli schieramenti partigiani a Santhià e Vercelli, i tedeschi provano a raggiungere la Svizzera attraverso la Valle d’Aosta. Il primo maggio le truppe anglo-americane arrivano in una città disciplinata, con servizi pubblici e industrie in funzione. Il giorno dopo il capo d’armata americano fa sapere al generale tedesco che avrebbe fatto intervenire i bombardieri pesanti, se non si fosse arreso. Il 3 maggio alle 17 Johann Schlemmer firma la resa.

Settantanove anni dopo, qualcuno si chiede se abbia ancora senso ricordare il sacrificio di tante e tanti; ci si chiede se abbia ancora senso parlare di antifascismo, oggi che il fascismo è morto; ci si chiede cosa voglia dire oggi Resistenza.

In un momento storico dove i venti di guerra soffiano sempre più forte, dove assistiamo al massacro nella Striscia di Gaza e al rischio di un’escalation militare generalizzata, forse, oggi, Resistenza vuol dire lavorare per essere “Partigiani della Pace”.

Erica Bonanno

Bibliografia:

  • G. Bocca, Storia dell’Italia Partigiana – settembre 1943 maggio 1945, Milano, OscarMondadori, 2005.
  • P. Secchia, Aldo dice 26×1 – Cronistoria del 25 aprile 1945, Milano, PGRECO, 2022.

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