Beyoncé, il country e l’intersezionalità – parte seconda: identità artistica tra radicalismo e capitalismo

Nella prima parte di questo articolo abbiamo discusso il nuovo album di Beyoncé COWBOY CARTER e di come il genere scelto dall’artista per questo ultimo progetto, ovvero il country, sia stato storicamente associato alle classi operaie statunitensi oltre che immigrate – verrebbe da chiedersi come, allora, qualcuno con un patrimonio netto sulla via dell’ammontare a un miliardo possa mettersi allo stesso livello culturale del genere in buona fede.

Non è la prima volta che l’artista si avvicina ad immaginari ed estetiche associate alle classi operaie. Abbiamo, come discusso nella prima parte, la scelta di reclamare il genere della disco music nell’album RENAISSANCE, genere nato negli anni ‘70 in comunità prettamente queer, non solo nere ma anche latino-americane. La maggior parte delle persone in questi spazi facevano parte della working class per via proprio della loro identità e dell’inaccessibilità a certe posizioni lavorative. Molti di loro aderivano ad idee di politiche sociali più radicali, soprattutto visto che erano gli anni immediatamente successivi al movimento dei diritti civili e ai moti di Stonewall. Una delle organizzazioni politiche più simboliche di quegli anni fu il Black Panther Party, le Pantere Nere, con ideali apertamente antifascisti, comunisti e, soprattutto, anticapitalisti. La loro lotta all’ineguaglianza razziale era direttamente collegata alla lotta di classe e al capitalismo, visto come massima espressione economica del potere bianco. Nel 2016, durante la sua performance nell’Half Time Show del cinquantesimo Super Bowl, Beyoncé e le sue ballerine hanno indossato una versione più “sexy” della divisa delle Pantere Nere, con tanto di berretto.

Beyoncé e le sue ballerine al Superbowl Half Time Show (Fonte: https://www.houstonchronicle.com/local/gray-matters/article/Beyonc-and-the-Black-Panthers-A-surprising-6824863.php)

Questi non sono simboli tanto associati alla cultura nera statunitense in generale, ma che appartengono più alla dimensione del radicalismo e della sinistra nera. Se alcune testate socialiste o apertamente di sinistra hanno visto questo atto come appropriazione di simboli radicali da parte di una donna che chiaramente non ha quelle idee economiche, la critica di stampo repubblicano ha espresso come questa fosse una mossa non solo separatista, ma che incitava direttamente alla violenza di stato. Questo per via della “fama” delle Pantere Nere, ricordate da entrambi i lati del governo americano come dei violenti rivoluzionari. In realtà seppure fosse uso del movimento pattugliare le azioni della polizia con mitragliatrici e pistole in bella vista, ciò era fatto nell’ottica dell’auto-difesa contro la violenza razziale di stato, quindi senza intenzione di attaccare per primi – infatti la pantera, si dice, attacca solo se spaventata o provocata. Questo riferimento potrebbe venire visto allora come una chiara provocazione nei confronti del partito repubblicano e soprattutto verso uno dei loro candidati alle elezioni presidenziali del 2016, Donald Trump.

Le Pantere Nere ad una dimostrazione a New York nel 1969 (Fonte: David Fenton, via Getty Images)

Ciò è però interessante quando osserviamo quello che è dietro le quinte. Cosa significa quando a usare simboli di lotta politica radicale è una persona che partecipa apertamente a sistemi di oppressione?Seppure ci siano state vaghe accuse verso il suo brand di sportswear, Ivy Park, riguardo al possibile uso di fabbriche sfruttatrici (sweatshops) presenti nello Sri Lanka, la decisione di abbandonare il partner di collaborazione TopShop per passare all’Adidas non ha aiutato: il brand è stato più volte accusato di diminuire nettamente le paghe e i diritti dei lavoratori nelle loro fabbriche asiatiche, lavoratori che per la maggior parte sono donne. Esemplare è anche il caso del famoso diamante giallo di Tiffany, indicatore di status sociale ed economico ed indossato da un ristretto numero di star donne, tra le quali Beyoncé che diventa, nel 2021, la prima donna nera ad indossarlo per una campagna pubblicitaria del brand. Quell’esatto diamante è stato scoperto nel 1877 in Sudafrica da schiavi neri sotto il controllo del governo coloniale britannico, ed è l’esempio più famoso di “diamante insanguinato”. Più recente è il caso del film-concerto di RENAISSANCE e la decisione di proiettare il film nelle sale cinematografiche in Israele dal primo dicembre del 2023, nel bel mezzo dell’escalation di attacchi nei confronti della Palestina e dei suoi civili. Israele ha più volte usato metodi di pinkwashing per portare avanti le sue politiche belliche, e sembra sia stata complicita nell’uso forzato di contraccettivi dai medici statali in donne etiopi ebree.

La mistificazione del “sogno americano”, del mito protestante della ricchezza ottenuta solamente dal duro lavoro, ha lentamente inglobato anche le minoranze del paese le cui comunità hanno da sempre dovuto lavorare un po’ di più della media per ottenere quell’ambito podio. Spesso l’appartenenza ad un gruppo storicamente oppresso viene usato dalle celebrities come scudo nei confronti di critiche e, soprattutto, come podio pubblicitario sul quale basare la propria identità pubblica. Se Beyoncé basa la sua intera immagine pubblica sull’essere una femminista nera che cita apertamente le Pantere Nere, quanto può valere l’uso delle politiche d’identità come brand quando si ignorano per bene del profitto?

Tutto ciò non solo è interessante da analizzare dal punto di vista artistico, ma è la prova di come frequentemente la classe economica venga ignorata nel contesto dell’intersezionalità e dei discorsi riguardo alle politiche sociali. Il genere, il concetto di razza, la propria sessualità, l’essere disabili o abili: sono tutti elementi della propria identità che si intrecciano tra di loro e lavorano in modo complesso permettendo di muoverci nel mondo o di rimanere fermi davanti a barriere imposte da altri. Spesso però viene ignorato il modo in cui nascere in una famiglia ricca o benestante (o anche diventarlo noi stessi) possa influire su tutti questi aspetti e su quelle stesse barriere. La famiglia Carter era di classe media dopotutto, come lo sono state molte altre famiglie di artisti conosciuti e amati dalle masse. Chiedersi se sarebbero potuti arrivare lì lo stesso anche senza quel supporto economico; interrogarsi su come la fortuna di nascere in un ambiente agiato possa rendere più facile raggiungere i propri obiettivi non solo può essere sano, ma potrebbe anche aiutarci ad analizzare meglio i lavori e le identità artistiche di molti musicisti.

Gaia Sposari

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