Cinema, moda e sport: Challengers ha esagerato con il product placement?

Nel cinema moderno, il product placement è diventato un fenomeno pressoché onnipresente: che sia ben visibile o più sottile, la pratica è stata spesso considerata una tattica superficiale per arrotondare i guadagni commerciali. Secondo Treccani, infatti, con questa locuzione si fa riferimento a una strategia promozionale di un prodotto pubblicizzato indirettamente da produzioni televisive o cinematografiche, dietro compenso finanziario.
Ad alcune settimane dall’uscita nelle sale di Challengers, il nuovo titolo di Luca Guadagnino, il dibattito imperversa: non è che questa volta hanno esagerato?

Josh O’Connor, Zendaya e Mike Faist in una still del film

Con una caterva di marchi in bella mostra sullo schermo – talvolta il loro uso è quasi smaccato e provocatorio – Guadagnino sfida l’idea secondo cui il product placement sia un modo piuttosto pigro per inflazionare i guadagni da botteghino. E lo fa integrando magistralmente i brand nel tessuto narrativo del film, trasformando e elevando una semplice tecnica di marketing a uno strumento per migliorare la profondità narrativa e l’autenticità del suo film.
Attraverso una selezione strategica dei marchi e una collaborazione meticolosa con il team creativo, Challengers ribalta le aspettative e, con i suoi ritmi sincopati, rende il product placement una leva meta-narrativa del tutto in linea con le premesse della pellicola.

In sostanza, Challengers segue le vicende del triangolo Tashi-Art-Patrick, interpretati rispettivamente da Zendaya, Mike Faist e Josh O’Connor. Rimbalzando tra le loro vite private e le loro brillanti carriere sportive, il film «usa» il gioco del tennis – un duello combattuto a colpi di racchetta – per esplorare le relazioni umane, tra desiderio, ossessione e crudeli giochi di potere.
Ma anziché relegare i marchi a semplici ornamenti superficiali, Challengers li trasforma in componenti integrali che riflettono le aspirazioni, le lotte e i trionfi dei suoi protagonisti. I brand non sono semplici accessori, ma forze narrative trainanti.
L’integrazione strategica dei brand serve ad arricchire gli archi dei personaggi all’interno del film: ne è un esempio il caso di Tashi, il cui successo nel mondo sportivo è simboleggiato dalla sua partnership con prodotti prettamente sportivi, come quelli Adidas. L’ascesa di Art come superstar del tennis è invece rappresentata attraverso i suoi accordi di sponsorizzazione con Uniqlo e Aston Martin, che simboleggiano d’altro canto un’ambizione sportiva meno marcata. Senza eccedere in troppi spoiler, associando ai personaggi dei brand specifici, Challengers non cattura solo le loro trasformazioni esterne, ma metaforizza anche le rispettive psicologie, identità e aspirazioni.

Tra tutti i film in cui il product placement poteva divenire uno strumento narrativo attivo, Challengers risulta essere una scelta azzeccata. Non solo si vuole mettere in luce in modo provocatorio il crescente consumismo che permea la nostra quotidianità – come sostiene il costumista del film Jonathan Anderson -; l’obiettivo è anche quello di rappresentare a tutto tondo il mondo sportivo, che si sorregge anche grazie alle continue sponsorizzazioni e partnership tra gli atleti e i brand.
Per rimanere in ambito tennistico, basta ricordare le collaborazioni tra Roger Federer e Moët & Chandon, di cui è ambasciatore da ben dodici anni, oppure Rafael Nadal e Kia. E come dimenticare la collaborazione tra Serena Williams e la JP Morgan o la Nike?
Che piaccia o no, sport e marketing viaggiano su binari paralleli, ed è questo che vuole rappresentare Challengers, al di là dello sterile product placement.

In conclusione, il nuovo film di Guadagnino è una testimonianza del potenziale trasformativo del product placement nella settima arte.
Challengers va ben oltre i limiti della semplice collocazione del prodotto per offrire un’esplorazione riflessiva dell’identità, dell’ambizione e delle costruzioni sociali, rappresentando in modo sfacciato una società saturata di marchi.
La nostra.

Crediti immagine: Glamour, The Drinks Business, GQ Italia, Nike

Rebecca Isabel Siri

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