Perché il toscano non è l’italiano standard (contrariamente al pensiero comune)

Le Tre Corone

Dante, Petrarca e Boccaccio, le “Tre Corone” della nostra letteratura, hanno contribuito in maniera indelebile al patrimonio umanistico italiano. In particolare, Dante viene definito “il padre della lingua italiana”, paragonabile a Shakespeare per gli inglesi tre secoli più tardi. Dante morì nel 1321, quando Petrarca aveva 17 anni e Boccaccio 8. Ciò che condividono è la regione di nascita: la Toscana. Dante era fiorentino, Petrarca originario di Arezzo mentre Boccaccio era conosciuto anche come il “Certaldese” (Certaldo è un comune nella periferia di Firenze).

L’italiano standard, ovvero la lingua che ci insegnano a scuola, priva di influenze dialettali, quella che si usa nello scritto e cioè senza le libertà del parlato, evolve dal fiorentino letterario trecentesco, al quale ha senza dubbio dato grande rilievo la Divina Commedia. Evolve, non nasce. Ciò che stai leggendo adesso può essere definito, piuttosto, il latino del XXI secolo. Proprio così: tu, io e con chi ci relazioniamo, parliamo tutti il latino contemporaneo. Dante è il primo a parlare di mutamento linguistico nel suo De vulgari eloquentia e a individuare due fondamentali dimensioni di variazione: diacronica e diatopica. Egli, però, credeva che il latino fosse una lingua artificiale, creata ad arte dai litterati per poter comunicare fra loro. Il cosiddetto volgare nasce invece dal latino grazie al fenomeno della variazione linguistica. Oltre a variare attraverso il tempo e lo spazio (i due assi di cui parlava il poeta), la lingua varia attraverso gli strati sociali (diastratia), le situazioni comunicative (diafasia), per il mezzo o il canale usato che sia esso parlato o scritto (diamesia).

Il Latino

Il latino è una lingua naturale, parlata in origine da una piccola comunità italica agricola-pastorale stanziata nelle foci del Tevere. Gradualmente si espanse nell’Italia peninsulare (V secolo a.C.), poi in Sicilia, Sardegna e Corsica (III secolo a.C.), in Spagna, Africa settentrionale, Illirico, Gallia meridionale/Cisalpina e a partire da I secolo a.C. nella Gallia settentrionale/Trasalpina. Non riuscì a imporsi nella parte orientale, dove si parlava greco. Nel giro di sette secoli il latino diventò la lingua di tutta la parte occidentale allora conosciuta.

Come le lingue odierne, subì le cinque variazioni. Dal II-I secolo a.C. il latino letterario rimase sostanzialmente stabile; il parlato, e cioè la dimensione primaria della lingua, fu soggetta a maggiori mutamenti. La divisione in quattro prefetture (Gallia, Italia e Africa latinofone, Paesi Illirici e Oriente grecofone), l’estensione dell’impero e dal III secolo d.C., l’abbassamento generale del livello culturale, la frammentazione politica, situazioni di superstrato con le varie lingue germaniche e di adstrato soprattutto col greco accelerarono il processo di mutamento. A una prima fase di diglossia (coesistenza nella società o nell’individuo di due diverse varietà a cui attribuiamo due prestigi diversi, ad esempio oggi dialetto e italiano standard) seguì il bilinguismo (coesistenza di due sistemi linguistici che posso usare indifferentemente, la scelta di quale lingua usare non dipende dalla variazione diamesica, ma da altri fattori come il mio interlocutore). A rendere più evidente questa situazione fu la Riforma carolingia del latino. Carlo Magno divenne imperatore la notte di Natale dell’800 e con la sua riforma tentò il recupero del latino originario depurato da tutti gli imbarbarimenti avvenuti anche nella lingua scritta. Questo comportò, parallelamente, un maggiore allontanamento del latino scritto dal parlato. Da ciò sarebbero nate le lingue romanze.

Le lingue romanze e i dialetti

Le lingue romanze sono le lingue derivanti dal latino: francese e provenzale (gallo-romanze), spagnolo, portoghese e catalano (ibero-romanze), italiano e sardo (italo-romanze), romancio, ladino centrale e friulano (reto-romanze), romeno (balcano-romanze). La classificazione in famiglie linguistiche guarda alla morfologia di una lingua e non al lessico che è più influenzabile: a causa dell’invasione normanna l’inglese ha parole facilmente traducibili in italiano, ma è una lingua germanica; viceversa il romeno, essendo circondato da lingue slave, ha un lessico molto diverso rispetto a quello di altre lingue romanze. In Italia tutti i dialetti sono primari, ovvero sono la continuazione diretta del latino (eccetto il romanesco, che nasce dalla presenza di papi e letterati fiorentini a Roma, contaminato dal laziale). Il corso, invece, è un dialetto secondario del toscano.

Perché, dunque, il toscano ha un ruolo di rilevanza? Il toscano è rilevante perché la lingua standard nel nostro Paese è l’evoluzione del toscano. Il toscano si è imposto per motivi culturali: il fiorentino del Trecento è la lingua delle Tre Corone. Il toscano stesso, tuttavia, come lingua nella sua dimensione diatopica, si è evoluto e la sua evoluzione non è sempre stata parallela a quella dell’italiano. Per esempio: il dittongo uo, che è l’evoluzione della o breve in latino (bonum -> buono) in toscano è rimasto invariato (bono). L’italiano standard, dunque, guarda come modello al toscano letterario del Trecento con una conseguenza: ciò spiega perché la forbice tra parlato e scritto è maggiore rispetto a quella di altre lingue. L’italiano è pertanto una lingua formatasi già vecchia.

Nicole Zunino

Fonte: Pietro G. Beltrami, La filologia romanza. Profilo linguistico e letterario, Il Mulino, 2017

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