Gli anni ’70 afroamericani: The Lesson di Toni Cade Bambara

Toni Cade Bambara (1939-1995), pseudonimo di Miltona Mirkin Cade, è stata un’autrice, regista, ballerina in teatro, cultural worker, attivista e docente in vari atenei statunitensi. Specializzata in narrativa afroamericana, dedicò gran parte della sua vita e della sua arte all’attivismo sociale. Negli anni Sessanta aderì al Black Art e al Black Feminist Movements.

Gli anni Settanta in America vedono il sorgere e la diffusione di movimenti a favore di nazionalismo nero, femminismo e Black Power. Già prima, nel 1968, James Brown cantava Say It Loud I’m Black and I’m Proud che diventa ben presto una hit immediata: è il segnale che i tempi sono maturi per un cambio di passo in senso politico e culturale.  Poco prima, ad aprile 1967, Muhammad Ali (Cassius Clay) si era rifiutato di essere arruolato nelle forze armate, affermando di non voler combattere per l’America bianca. Nel 1968 alle Olimpiadi in Messico, gli atleti Tommie Smith e John Carlos facevano il saluto del Black Power mentre ricevevano le medaglie, rifiutandosi di rendere omaggio alla bandiera. Queste invece le parole di Malcom X, noto politico leader dei diritti afroamericani, del 12 dicembre 1964: “Concerning nonviolence, it is criminal to teach a man not to defend himself when he is the constant victim of brutal attacks (…). I believe in the brotherhood of man, all men, but I don’t believe in brotherhood with anybody who doesn’t want brotherhood with me. I believe in treating people right, but I’m not going to waste my time trying to treat somebody right who doesn’t know how to return the treatment”. Nel frattempo il Black Panther Party For Self Defense, nato nel 1966, era cresciuto esponenzialmente. A battersi per il femminismo nero era invece il Combahee River Collective, un collettivo di femministe e lesbiche nere nato negli Stati Uniti nei primi anni Settanta per iniziativa di Barbara Smith, che nel 1977 dichiarava: “The major source of difficulty in our political work is that we are not just trying to fight oppression on one front or even two, but instead to address a whole range of oppressions. We do not have racial, sexual, heterosexual, or class privilege to rely upon, nor do we have even the minimal access to resources and power that groups who possess any one of these types of privilege have…”.

È il questo contesto in cui matura Toni Cade Bambara. Tra le opere di cui è autrice vi è Gorilla, My Love (1972). Si tratta di una raccolta di quindici racconti, in cui è presente un personaggio ricorrente, Hazel. Le storie sono ambientate in prevalenza nei ghetti del nord urbano statunitense. In una sorta di prefazione l’autrice specifica che non si tratta di una narrazione autobiografica, ma di straight-up fiction: cerca di catalizzare le voci ed i suoni del quartiere e della comunità che racconta. La lingua che usa è particolare: si tratta di African American Vernacular English, la lingua in cui effettivamente ci si esprime nel ghetto.  

Per invitarvi alla lettura dei prodotti narrativi di questa autrice, pioniera dei diritti degli afroamericani e specialmente delle donne, vorrei riassumervi uno di questi racconti: si tratta di The Lesson, facente parte, appunto, dell’opera Gorilla, My Love.  La mancanza di un’istruzione per i bambini nati in un quartiere degradato e la disuguaglianza sociale sono i temi di questo breve racconto, scritto dal punto di vista di una ragazzina nera cresciuta ad Harlem che si racconta in prima persona. Colpisce il rapporto che Sylvia, la protagonista in questione, ha con la Signorina Moore, donna che ha saputo lasciarsi dietro le poche prospettive che il ghetto sembra predestinare ai suoi abitanti. Quel giorno la Signorina Moore, verso la quale Sylvia inizialmente ha un atteggiamento di sfida per poi trasformarsi più in ammirazione, decide di tenere una lezione alquanto speciale alla classe della giovane ragazzina: porta i bambini a Manhattan. Colpisce immediatamente la differenza delle persone e dell’ambiente: abiti eleganti, marciapiedi curati, uno sfrecciare di automobili. I bambini notano tutto, sono vasi vuoti pronti a recepire ed emulare ciò che li circonda, ma è soprattutto quando la Signorina Moore li porta in un negozio di giocattoli che smuove davvero le loro menti innocentemente e naturalmente aperte. La donna fa ragionare i ragazzi in modo che arrivino da soli all’infelice e dura conclusione: il prezzo di un singolo giocattolo, che sembra piacere concordemente a tutta la classe, corrisponde a un stipendio che può alimentare una famiglia intera del ghetto. In questo modo, l’unica donna istruita del quartiere di Sylvia fa riflettere sull’importanza dell’istruzione. Nello sguardo della ragazza, all’inizio della “gita”, impaziente per quella lezione che reputava inutile, si può cogliere un barlume di desiderio di cambiamento e di speranza. Il racconto non è disincantato: non comprano il giocattolo, le famiglie del ghetto non migliorano la loro situazione, tutto resta uguale. Ma l’obbiettivo -insegnare alle nuove generazioni che ci sono altre realtà a cui ambire diverse dal ghetto- sembra essere raggiunto e sembra poter essere l’inizio di un qualcosa di diverso.

Nicole Zunino

Fonti: Cristina Di Maio, La posta in gioco. Il gioco e il ludico nei racconti di Toni Cade Bambara, Rita Ciresi e Grace Paley, Napoli, La scuola di Pitagora, 2021. Toni Cade Bambara, Gorilla, amore mio, traduzione di C. Mannella, Roma, SUR, 2017.

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