La rivendicazione dei capezzoli

Nell’ambito dalla rappresentazione della nudità sui social media, che già di per sé non è consentita, spicca una particolare problematica che riguarda una parte del corpo che, pur presente in entrambi i sessi, viene censurata in modo selettivo solo in quello femminile: i capezzoli.

Anche se abbiamo alle spalle millenni di storia dell’arte che ritrae il corpo femminile 706226003nell’interezza della sua naturale sensualità (ne parliamo qui), siamo giunti, con la modernità, alla tendenza sempre più perentoria di oscurarne i lati maggiormente connotati dalla libido, mentre quella maschile resta un gesto celebrativo della virilità. Paradossalmente, un nudo femminile, anche se parziale, sembra creare più imbarazzo della rappresentazione degli organi genitali maschili, esibiti con orgoglio dalle innumerevoli e realistiche statue dei David, per fare un esempio. Ma questa censura non è fine a se stessa (non vi è infatti niente di ragionevolmente osceno nel capezzolo femminile): è simbolo di una repressione sociale e culturale che le donne e altre identità di genere, considerate minoritarie, subiscono pressoché ovunque da quando esiste la civiltà.
Nasce come una legge non scritta e si consolida man mano fino a diventare una prerogativa indiscutibile delle Condizioni d’uso e Linee guida della community sui social media. Riportiamo di seguito la policy delle piattaforme Zuckerberg:

“Per svariati motivi, il nudo non è ammesso su Instagram. Questo riguarda foto, video e alcuni contenuti creati digitalmente che mostrano rapporti sessuali, genitali e primi piani di natiche completamente nude. Questa misura riguarda anche le foto ritraenti i capezzoli femminili. Tuttavia, le foto di cicatrici dovute a mastectomia e le immagini di donne che stanno allattando al seno sono consentite. Inoltre, sono consentite le fotografie di quadri e sculture raffiguranti dei nudi.

(…) Eventuali contenuti condivisi sul Servizio da parte dell’utente possono essere rimossi se ritenuti in violazione delle Condizioni d’uso o nei casi previsti dalla legge. Abbiamo la facoltà di rifiutare o interrompere la fornitura, del tutto o in parte, del Servizio (anche attraverso la chiusura o la disabilitazione dell’account )

Vediamo dunque come la condivisione di immagini ritraenti capezzoli femminili venga non solo etichettata come contenuto inappropriato, ma, a livello di segnalazione, posta quasi sullo stesso livello della pubblicazione di contenuti di natura pornografica.
Eppure, una madre che allatta al seno ha pieno diritto di comparire sulla piattaforma. Quindi, il suo seno, apparentemente privato di ogni connotazione sessuale nel momento in cui viene coinvolto in un’azione tanto innocente e pura, non crea alcun tipo di sdegno.

Vogliamo quindi leggere tra le righe che un seno ha dignità solo nel momento in cui svolge la sua funzione anatomica, per la quale esiste in primo luogo? O forse il motivo per cui un’immagine di allattamento al seno è consentita, consiste nel fatto che il capezzolo, idealmente, resta interamente coperto dalla testa del lattante?
Ma perché questa repulsione proprio per il capezzolo femminile che non ha niente di diverso da quello maschile?

A sostegno di questa tesi nasce proprio una pagina Instagram: genderless_nipples, che pubblica rigorosamente immagini di capezzoli senza mostrare la mammella, e dimostra quanto sia difficile assegnarli all’uno o all’altro sesso. Caso volle che proprio da questa pagina sia stata rimossa forzatamente l’immagine ritraente un capezzolo maschile. L’ennesima prova che i capezzoli dei due sessi hanno la stessa struttura biologica, seppur manifestandosi sotto forme differenti, e non vi è dunque ragione plausibile per applicare la censura usando come discriminante il sesso. Perché allora non ci turba un uomo a torso nudo in qualsivoglia circostanza e ci scandalizza una donna in topless in spiaggia? Come mai un uomo a petto nudo spopola sui social e i capezzoli femminili vengono segnalati con vergogna per essere censurati?

Questa rivendicazione non nasce dal mero, seppur valido e lecito, desiderio di avere pari diritti di rappresentazione. Si tratta di una battaglia emblematica, la sineddoche che vuole portare a galla la macro problematica della discriminazione di tutte quelle identità che siano diverse dal genere maschile e dagli assurdi canoni di bellezza stabiliti da una società che così spesso sono causa di anoressia, bulimia, depressione…

Quello su cui voglio far riflettere oggi è la necessità di celebrare la diversità in quanto ricchezza, nella sua dimensione più naturale, genuina, lontana dalla ricerca di una perfezione che non esiste se non attraverso il filtro di Photoshop. Mostrare la bellezza intrinseca del corpo, con tutte quelle che vengono considerate come imperfezioni e che invece rendono ciascuno unico e allo stesso tempo uguale a tutti nella propria essenza, rivendicare la libera rappresentazione e celebrare insieme ciò che ci unisce. 

Yulia Neproshina

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