Cent’anni di Kafka: La Metamorfosi e oltre

Riprendendo una frase pronunciata dalla scrittrice Chiara Valerio durante un incontro del Salone del Libro di Torino di quest’anno, così come quando sentiamo Le metamorfosi pensiamo subito a Ovidio, così anche parlando de La metamorfosi si capisce subito di che cosa e di chi si sta parlando. Infatti quest’anno al Salone è stato reso omaggio a Franz Kafka (1883-1924), in una serie di interventi riconducibili alla programmazione Tedesco lingua ospite, anche in occasione del centenario della morte dell’autore, che ricorre il 3 giugno 2024.

La metamorfosi è uno dei racconti più famosi della letteratura occidentale, nonché l’opera di Kafka più conosciuta: accanto ad essa ricordiamo anche i suoi tre romanzi incompleti: Amerika, Il processo e Il castello, senza dimenticare la Lettera al padre, insieme a una lunga lista di racconti, come Davanti alla legge, e di parabole. Si pensi, tra l’altro, che se conosciamo gran parte delle opere dell’autore praghese, lo facciamo contro la sua volontà originaria: nel testamento rivolto all’amico Max Brod, egli gli chiese infatti di distruggere tutti i suoi manoscritti, mentre l’amico scelse di pubblicarli. Pochi conoscono poi la sua prolifica attività di disegnatore: Kafka, infatti, fece per tutta la vita schizzi e disegni a bordo dei taccuini e nei diari di viaggio, alcuni pubblicati da Adelphi nel libro I disegni di Kafka (2022).

Il dormiente e il pensatore di Kafka; Aboutumbriamagazine;
https://www.aboutumbriamagazine.it/2024/02/29/gli-affari-di-kafka-scrittore-collezionista-e-disegnatore/

Nel corso dell’incontro sopracitato, Chiara Valerio era in dialogo con i traduttori Giorgio Pinotti e Anita Raja (nota, tra le altre cose, per essere ritenuta da alcuni la persona che si cela dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante): quest’ultima, per parlare di Kafka, ricorre a un’espressione usata dal filosofo Adorno, che a proposito dello scrittore fa riferimento al linguaggio del sogno: “Tutti noi, quando vogliamo raccontare un sogno, ci rendiamo conto che le parole che usiamo non lo restituisco assolutamente. Adorno parla infatti di prelogica, una logica che quando viene ripresa in parole viene tradita”.

Anita Raja ha riflettuto inoltre sulla traduzione del titolo La metamorfosi, di cui ricorda ne esistono almeno 25 diverse traduzioni in italiano. Parla di un testo di apparente semplicità, caratterizzato dalla lingua prosciugata, essenziale, letteraria, quasi priva di inflessioni di Kafka. Si tratta di un titolo che si è imposto in tutto il mondo nella maggior parte delle traduzioni, malgrado ci siano state voci autorevoli come quelle di Borges, Primo Levi e di Nabokov che hanno suggerito il termine “la mutazione”, “la trasformazione”. Infatti il titolo originale, Die Verwandlung, significa letteralmente “la trasformazione”, e pone quindi l’accento più sul processo che sul prodotto. Bisogna infatti ricordare che, sempre secondo Anita Raja, in tedesco esiste anche il termine Metamorphose, e Kafka ha scelto consciamente di non usarlo. Secondo la traduttrice La mutazione sarebbe quindi un titolo più appropriato, ma al tempo stesso un titolo diverso potrebbe essere disorientante per il pubblico, abituato alla fortuna de La metamorfosi.

La traduzione di Kafka, come le traduzioni in generale, pongono altri problemi, in questo caso già nell’incipit, famosissimo, in cui Kafka scrive che un mattino il commesso viaggiatore Gregor Samsa, svegliandosi, si trasformò in un gigantesco insetto/scarafaggio. Ma il termine tedesco utilizzato non è il generico Insekt bensì Ungeziefer, ossia parassita, come ricordato in questo articolo de Il Post; in seguito, verrà usato anche Mistkäfer, “scarabeo stercorario”. Kafka stesso tuttavia aveva chiesto all’editore che non ci fosse nessun riferimento esplicito a un insetto in copertina, preferendo che il lettore usasse la propria immaginazione. Anita Raja, nell’incontro, ha poi spiegato che una traduzione è sempre perfettibile, non è mai un punto di arrivo rispetto al testo originale. Ciò che conta infatti non è cosa sia diventato Gregor Samsa, ma cosa rappresenta: una paura, qualcosa di perturbante che ci tormenta.

Dopo cento anni, i testi di Kafka continuano a nutrire accesi dibattiti e ad essere estremamente moderni, dei veri e propri classici. Kafka, dopo una formazione da avvocato, lavorò per tutta la vita in un’agenzia di assicurazioni, e dedicò il proprio tempo libero alla letteratura, lasciandoci delle pagine ancora ricche di mistero e di inquietudine. Ne Il processo un uomo, Joseph K., viene arrestato e giustiziato senza che sappia il crimine che ha commesso, e riflette quindi sugli ingranaggi incomprensibili e tortuosi della burocrazia. Ne Il Castello l’agrimensore K. cerca di accedere al castello che governa il paese, per il quale è stato chiamato a lavorare, senza però mai riuscire a parlare con le autorità, fatto che può ricordare il rifiuto da parte di una comunità perchè non se ne conoscono le regole. Molti racconti sono poi lugubri, da essi trapela una sensazione di oppressione, di alienazione e di fallimento, e una ribellione contro un’autorità superiore e incombente (il tribunale, il castello, la figura paterna). Ciò che più colpisce è che fatti assurdi, inquietanti, vengono descritti come momenti della più normale quotidianità, con un linguaggio asciutto ed essenziale.

Kafka continua insomma a parlarci anche a cent’anni di distanza, trasmettendoci sensazioni scomode ma che tutti abbiamo provato almento una volta, come il mancato coraggio di vivere, un senso di inadeguatezza, il senso di colpa verso i propri doveri mancati, l’ansia dell’esistenza, la continua ricerca di una verità che ci sfugge.

Anna Gribaudo

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