Sonicamente sciapo, testualmente pregno: “The Tortured Poets Department”, l’ultimo album di Taylor Swift

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A meno di un mese dalla sua uscita, l’ultimo album di Taylor Swift continua a battere record dopo record: The Tortured Poets Department è presto diventato l’album più ascoltato sia su Spotify che su Amazon Music, superando un miliardo di streams in meno di una settimana. Gli ascolti continuano a moltiplicarsi come è successo, nel post-pandemia, alla sua fama e al suo riconoscimento. L’Eras Tour, il suo tour mondiale, è stato quello che ha generato più incassi nella storia della musica live. La sua fan base consolidata (e molto spesso demonizzata) le ha permesso di arrivare a una posizione tale per cui, almeno economicamente, è fin troppo grande per fallire.

Sebbene Poets sia stato subito accettato e adorato da swifties (così viene chiamata la sua fanbase) e gran parte della critica, dall’altra parte c’è stata una reazione alquanto negativa rispetto alla qualità artistica dell’album. Dire che i fan più sfegatati dell’artista abbiano formato una vera e propria relazione parasociale con Swift sarebbe dire l’ovvio. Spesso, infatti, questi vengono messi sotto il mirino come esempio di fan base tossica. Come sempre, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ma di esempi ne abbiamo: uno dei più recenti è quello del giornale The Paste, che ha deciso di pubblicare la propria recensione di Poets anonimamente, visto che in passato lə stessə giornalista aveva ricevuto minacce di morte per aver recensito negativamente il settimo album di Swift, Lover. Il discorso della responsabilità di tali azioni (se siano da addossarsi solo agli interessati, all’intera fanbase o persino all’artista) è troppo vasto per essere trattato ora, ma mostra assolutamente quanto moltə swifties si rivedono nei testi di Taylor, al punto che i suoi successi diventano i loro successi, e altrettanto vale per le critiche.

Swift è conosciuta per alimentare questa parasocialità, seppure sempre a una distanza di sicurezza: oltre a inserire messaggi criptici e easter egg nei suoi video musicali, post sui social e brani, molta della vita di Swift è pubblica – che lei lo voglia o meno. Tutti gli artisti, musicali o no, scrivono partendo dalle loro esperienze e dalle loro relazioni e, contrariamente da quanto pensa chi scredita Swift, farlo non è un crimine. Il problema, però, è che la sovraesposizione della vita di Taylor l’ha portata a non poter mettere un forse metatestuale davanti ai suoi testi: non è che questo pezzo potrebbe essere su uno dei suoi ex o su una situazione della sua vita, sappiamo che lo è per via di quanto conosciamo del dietro le quinte. Folklore, l’ottavo album di Swift, era riuscito a mascherare questa situazione grazie alla sua narrativa fittizia, ovvero quella di un triangolo amoroso durato un’estate.

Sonicamente, l’album si avvicina al sound dell’ultima “era” di Swift, Midnights, come lo è il tema portante dell’opera: i testi di Midnights trattano di varie nottate insonni della sua carriera. In modo analogo, Poets è antologico nello storytelling. A differenza di Midnights, però, il legame tematico non è altrettanto forte, quel filo conduttore è difficile da capire. Non può essere strumentale, perché abbiamo pezzi sia synth-pop che acustici. Altrettanto, non può essere emotivo perché si passa da alti a bassi molto velocemente. Tematicamente, gli album di Swift sono sempre stati molto concettuali nel mood e nell’estetica. È un po’ triste vedere questa caratteristica dell’artista perdersi in questa ultima uscita. Il problema più grande di Poets, però, sembra essere la produzione, gestita prima da Jack Antonoff (Bleachers), e poi da Aaron Dessner (The National) per la versione estesa dell’album: The Tortured Poets Department: The Anthology.

Antonoff, amico di lunga data di Swift, ha collaborato numerose volte con lei… tanto che, artisticamente, sembra si sia arrivati a un punto di stagnatura sonora. Antonoff si dedica totalmente al suono synth-pop per quest’album tanto quanto aveva fatto per Midnights, spesso, però, il risultato non supporta l’emotività dei testi di Swift. Alcuni, come “Down Bad” e “So Long, London”, riescono nel loro intento, mentre altri meno, e i singoli brani non riescono a spiccare, rendendo il tutto molto simile.

La qualità dei testi di Swift è e sarà sempre una questione molto personale, con opinioni che si differenziano molto tra loro. Ovviamente, è sempre più facile gradire qualcosa in cui ci possiamo immedesimare – parte dell’appeal di Swift proviene proprio da questa caratteristica. Poets non è il suo miglior lavoro, però. Se Swift spesso riesce a trovare un buon equilibrio tra semplicità e pomposità, ciò non è altrettanto riuscito in Poets. Il risultato sono alcune lyrics che, anche nel contesto della canzone, sono molto goffe: abbiamo il “tattooed golden retriever” di “The Tortured Poets Department”, il voler tornare nel 1830 “but without all the racists” in “I Hate It Here” e, onestamente, quasi tutto “So High School”. Il problema non è il contenuto, ma il modo in cui è espresso.

Ci sono anche momenti alti, però: “Clara Bow” è un’interessante riflessione sulla propria fama e lascito; “The Albatross” è una ballata romantica (nel senso letterario) che riprende il sound di Folklore ed Evermore e lo associa all’immaginario delle leggende marittime; “Florida!!!”, con la partecipazione di Florence, è un brano intenso che cattura la voglia di fuggire dalla normalità per rifugiarsi in un luogo nuovo dal quale ripartire.

The Tortured Poets Department non è il peggior album di Taylor Swift, ma non è nemmeno il migliore. Il risultato è un mix eclettico che verrà assolutamente apprezzato più dai fan di lunga data che da qualcuno che vuole iniziare ad approcciarsi alla discografia di Swift.

BRANI CONSIGLIATI: Fortnight (ft. Post Malone); My Boy Only Breaks His Favourite Toys; Down Bad; So Long, London; Florida!!! (feat. Florence + The Machine); I Can Do It With A Broken Heart; The Smallest Man Who Ever Lived; Clara Bow; The Albatross; I Look In People’s Windows

Gaia Sposari

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