Artivismo e migrazione: i migranti del Mediterraneo (pt. II)

Nel primo articolo della serie “Artivismo e migrazione” si è parlato della condizione dei migranti quando i protagonisti dell’esodo eravamo noi attraverso una fotografia, rappresentativa delle numerose serie del tempo, che catturava la condizione degli europei in cerca di fortuna in un altro continente. Si vuole proporre ora un confronto con la situazione migratoria odierna attraverso le opere di un fotografo, un pittore e un architetto.

La fotografia: un confronto con la migrazione storica

L’artista albanese Adrian Paci con la sua serie fotografica e  video “Vite in transito(2007) documenta lo stato dei protagonisti dell’odierno fenomeno migratorio.

Come nel secolo scorso, anche qui i migranti si prestano a comporre una fila di individui, intenzionati ad andare verso “un qualcosa” con la vivida speranza che porti loro fortuna. Se nell’immagine di ieri osservavamo un mezzo locale, il treno, ora a rappresentare il movimento vi è un mezzo moderno, l’aereo, tuttavia assente: non ci sono mezzi idonei ad andare incontro alle speranze di questi migranti. Oltre alla mancanza dell’aereo, notiamo l’assenza di un altro oggetto chiave in questa foto: le valigie. Nell’iconografia di queste immagini la valigia non è oggetto superfluo: essa è l’oggetto della memoria perché al suo interno può contenere una fotografia, un rosario della nonna o un altro pezzo di identità, è la sintesi della propria vita con sé, un resto di affetti e genealogia, una biografia. Senza origini, senza famiglia (in senso proprio o esteso) non sappiamo chi siamo: un individuo spossessato, non riconoscibile, massa anonima. Adrian Paci vuole mettere a confronto la solitudine e l’assenza dei migranti di oggi con le valigie delle famiglie europee dell’allora.

Altra differenza è il sesso biologico dei migranti: qui vediamo solo individui maschi. Nella migrazione storica il primo a spostarsi era il padre che aveva così modo di sistemarsi e trovare lavoro. In seguito veniva però ricongiunto dalla moglie e dai figli. Anche le donne oggi si spostano sole, col forte rischio di essere violentate e inserite nel giro della prostituzione durante la tratta.

L’artista sottolinea la solitudine e l’abbandono come dati caratteristici della migrazione odierna. Noi aspettavamo un treno che sarebbe arrivato, dunque un programma politico-economico che in un qualche modo doveva gestire la fiumana di migranti; loro aspettano qualcosa che non arriverà. L’assenza dell’aereo è l’assenza di un progetto nazionale di ospitalità e accoglienza, dunque il naufragio della cultura. L’unica cosa che questi migranti possiedono, di cui neanche il volto è ben visibile, è il desiderio contro la non accettazione di una condizione che li spinge a migrare. La parola chiave è dunque desiderio, l’unica cosa che resta: una tensione verso una vita migliore.

La pittura: un’indagine sulla prostituzione

Cristobal Toral, pittore spagnolo, realizza La Aduana(1972), tradotto “La dogana”, olio su tela.

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Nella raffigurazione, tra i pacchi è presente una persona legata con la corda su un nastro trasportatore. L’allusione è chiara: l’autore si riferisce al mercato del corpo delle donne, richieste dagli europei ricchi. Uno dei mercati più floridi della prostituzione si trova nella città di Dusseldorf, capitale culturale della Germania. Lì  si erge un edificio di cento finestre dove vivono le migranti donne, perfettamente visibili da chi prende il treno. La documentazione di questo disumano circolo è molta, soprattutto per le donne che arrivano dal mondo andino (Perù, Bolivia). Nella foto emerge l’inganno puro: le migranti vengono attratte con la promessa di un matrimonio o di un lavoro e poi si ritrovano nel giro della prostituzione in un Paese che non conoscono e in cui vivono clandestinamente, quindi prive di diritti e di tutele. C’è chi viene annullato e mortificato completamente da questa condizione: si tratta di una rassegnazione di partenza dovuta alla consapevolezza che anche nel Paese di origine il destino non sarebbe stato diverso.

L’immagine accende un istantaneo collegamento col lavoro di Giorgio Agambe, Quel che resta di Auschwitz. Entrambe le opere denunciano la riduzione di un corpo a mera carne, un corpo tale che si spoglia di trascendenza, che non ha nulla se non biologia, privo di umanità ed emozioni e quindi ridotto ad oggetto da usare e buttare (uccidere).

Architettura e scultura a Lampedusa

Altro esempio di artivismo è l’installazione ambientale di Mimmo Paladino, Porta di Lampedusa – Porta d’Europa (2008), fatta di terracotta e ferro zincato. Si tratta di una grossa parete al cui interno si inserisce una porta che guarda verso il mare. Dalla superficie del monumento emergono oggetti di uso quotidiano, spesso in ceramica, che rappresentano la stratificazione della memoria dei passanti: lì si mescolano le esperienze, gli attraversamenti e i naufragi dei tantissimi migranti  che oggi cercano fortuna nel nostro Paese. Alda Merini, poetessa di straordinario talento, ha scritto una poesia in occasione dell’inaugurazione.

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Dallo stesso potente significato è La zattera di Lampedusa (2016), dedicata ai migranti del mare, nei fondali di Lanzarote, realizzata da Jason de Caires Taylor. Si tratta di una scultura sottomarina raffigurante tredici migranti su un gommone che sintetizza il rischio che i migranti, senza altre scelte, si assumono alla ricerca di un vita migliore.

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Nicole Zunino

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