Concorso di bellezza per AI: stereotipi e canoni estetici anche nel mondo virtuale

Immagine tratta da elblog.pl

Ad aprile la piattaforma per creator “Fanvue” ha annunciato il Fanvue World AI Creator Awards, il primo concorso di bellezza le cui partecipanti sono virtuali, cioè generate dall’intelligenza artificiale. Il 3 giugno sono state nominate dieci finaliste, selezionate tra più di 1500 candidate: ciascuna delle influencer in gara è raffigurata in fotografie che ne ritraggono la “vita quotidiana” e mostrano il modo in cui trascorrono il tempo libero. Presentandosi, illustrano anche i propositi che vorrebbero attuare attraverso la propria comunicazione online.

Anne Kerdi, per esempio, è una ragazza di origine francese che si pone come obiettivo la valorizzazione della Bretagna, in particolare del turismo, della storia, della cultura, degli eventi e della gastronomia che la caratterizzano. Inoltre, è ambasciatrice per “Oceanopolis”, un fondo dedicato alla salvaguardia degli oceani.

Eliza Khan, dal Bangladesh, è un influencer dalla personalità eccentrica, appassionata di moda e nuove tendenze. Mira a vedere realizzarsi un mondo in cui vigano l’uguaglianza dei diritti e il rispetto reciproco.

La turca Seren Ay, invece, risulta più fantasiosa delle altre concorrenti menzionate, in quanto la sua prerogativa sarebbe la capacità di viaggiare nel tempo: appare in immagini che la ritraggono in compagnia di un velociraptor o immersa nella società dell’impero ottomano.

La giuria è composta da quattro membri, due dei quali creati dall’intelligenza artificiale, chiamati a valutare le concorrenti secondo tre criteri: aspetto esteriore, tecnologia impiegata per generare le immagini e influenza sui social media, registrata monitorando le interazioni e i “mi piace” ai contenuti pubblicati sui realistici profili Instagram delle sfidanti. Quest’ultima è una variabile importante dal punto di vista del marketing, poiché permette di osservare quanto il progetto appaia realistico agli occhi del pubblico e dunque se vi sia la possibilità, per le influencer in gara (o meglio per i loro creator), di promuovere brand.

La notizia della competizione ha immediatamente dato vita a un dibattito, poiché, accanto alle usuali critiche rivolte dall’opinione pubblica alle modalità con cui si svolgono i concorsi di bellezza e ai valori che essi veicolano, si aggiungono la perplessità e l’inquietudine suscitate dal fatto che l’intero evento sarà virtuale e avrà per protagoniste persone che non esistono. Infatti, a ricevere il premio di 5000 dollari e il programma di mentorship in palio, per ovvie ragioni, non sarà una delle ragazze delle quali sono state pubblicate le immagini, ma colui che l’ha ideata, che noi non vediamo.

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una progressiva crisi delle competizioni che premiano unicamente l’aspetto delle partecipanti, la quale si deve all’inadeguatezza che contraddistingue eventi del genere all’interno di una società sempre più sensibile agli ideali femministi e alla lotta delle donne che aspirano a liberarsi una volta per tutte degli stereotipi di cui sono oggetto da sempre.

I concorsi di bellezza si sono affermati in un’epoca in cui parteciparvi rappresentava uno dei modi più efficaci per iniziare una carriera nel mondo dello spettacolo, per diventare note e ottenere apprezzamento, semplicemente perché l’unica prerogativa riconosciuta a una donna era il suo aspetto, che di conseguenza la relegava a ruoli statici e passivi che consistevano nell’essere ammirata e suscitare l’interesse (unicamente estetico) del pubblico, al pari di un oggetto, mirabile, ma pur sempre tale.

Una delle maggiori criticità delle competizioni descritte è la promozione di un’ideale di bellezza irrealistico, lo stesso in cui rientrano le concorrenti virtuali, che prevede canoni piuttosto ferrei e ristretti, che in generale l’intelligenza artificiale è incline a prediligere, per via di “bias” algoritmici che dimostrano la tendenza a proporre stereotipi e che sono il risultato di pregiudizi correnti, in quanto riflettono il modo di pensare della società in cui si inseriscono. I “bias” si verificano a causa della selezione dei dati di addestramento o per l’uso di modelli distorti, anche a seconda delle preferenze degli sviluppatori.

Dunque il concorso indetto dalla piattaforma, se da un lato dimostra il crescente perfezionamento degli strumenti virtuali e l’impiego sempre maggiore dell’AI anche in ambiti inaspettati, dall’altro allarma coloro i quali intravedono il potenziale pericolo dell’estremizzazione di stereotipi irraggiungibili (in primis poiché non reali) e della conseguente disumanizzazione della gara, che per quanto caratterizzata da sfidanti artificiali, continua a rappresentarle con sembianze umane e quindi ad alimentare la tendenza di chi è spettatore ad aspirare a canoni malsani stabiliti sulla base di pregiudizi.

Gaia Romano

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