COSA STA ACCADENDO AD HAITI?

Com’è iniziata la crisi?

La crisi haitiana è in corso ormai da secoli e le cause sono innumerevoli: dagli anni di colonialismo francese ai trent’anni di dittatura, alle diverse catastrofi naturali e alla scarsità di risorse che hanno portato il paese ad essere uno dei più poveri al mondo. Dal 2021, però, la situazione è andata degenerando.

In quell’anno, infatti, è avvenuto l’assassino dell’ex presidente Moise in circostanze ancora poco chiare (alcune teorie vedono l’attuale presidente Henry coinvolto nell’omicidio). Ariel Henry è considerato da molti cittadini “detentore illegittimo del potere”, anche a causa delle innumerevoli cancellazioni delle elezioni ad Haiti, mancanti dall’ormai lontano 2016. L’ennesimo annullamento di quest’ultime, che si sarebbero dovute tenere il mese scorso, rappresenta la goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando a un’escalation di eventi culminati in scontri armati.

Le pandillias

La situazione, ormai ingestibile, è culminata con l’occupazione da parte delle bande armate (le cosiddette pandillas) di aeroporti e infrastrutture, raggiungendo, a detta del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, “livelli paragonabili ad un Paese sotto conflitto armato“. Le violenze perpetrate da queste bande criminali dal 2023 ad oggi sono innumerevoli, a partire dell’aumento di aggressioni e violenze sessuali che insieme stanno portando al collasso del sistema sanitario haitiano, colpito duramente dalla mancanza di forniture e personale medico.

Di fronte all’incapacità e, talvolta, alla complicità delle forze armate nel saper gestire gli scontri tra bande, i gruppi criminali hanno dato il via a una serie di linciaggi, durante i quali i membri rivali vengono catturati e bruciati per strada. Molti di loro stanno fuggendo nella vicina Repubblica Dominicana, che in risposta ha inizializzato un processo di chiusura dei suoi confini terrestri con Haiti e di ostacolo dei flussi commerciali.

Chi comanda le bande?

Nel corso delle violenze è emersa la figura di Jimmy Chéri Zier, ex capo di polizia noto soprattutto per la sua determinazione: nel 2020 ha lasciato le forze di Stato per prendere parte alla cosiddetta G9 an fanni, letteralmente “G9 e famiglia”, il cui obiettivo sarebbe quello di catturare il capo attuale della polizia, i ministri del governo e di impedire il ritorno di Henry. 

Zier ha iniziato quella che lui stesso definisce una “rivoluzione proletaria” contro il presidente stesso, e non contro il popolo di Haiti. Egli afferma con convinzione: “Se Ariel Henry non presenta le sue dimissioni, e se la comunità internazionale continua a sostenerlo, andremo dritti verso una guerra civile e un genocidio”.

Oggi

Le lotte interne hanno portato il presidente a richiedere l’invio di un contingente armato da parte delle Nazioni Unite il 7 marzo 2023, per contenere le bande. 

Nonostante ciò, la crisi politica e di sicurezza in corso da quasi tre anni, è degenerata il 29 febbraio 2024, quando i gruppi armati hanno attaccato la capitale Port-au-Prince, liberando i detenuti di due carceri. La conta degli evasi è ammontata a più di tremila detenuti, alcuni dei quali facenti parte della criminalità organizzata haitiana e accusati dell’assassinio di Moise, culminando in un’impennata di omicidi nella capitale. Le ricadute sono state diverse e, soprattutto a livello umanitario, visibili nell’evacuazione di parte del personale diplomatico americano ed europeo. La svolta più importante è arrivata poco dopo, quando il presidente Ariel Henry ha annunciato le sue dimissioni.

Henry, anche se impossibilitato a fare ritorno nel paese, si è recato in Kenya per firmare un accordo che dovrebbe dare inizio ad una missione di sicurezza approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, proprio per contrastare le bande criminali ad Haiti.

Dalla suddetta visita, l’ex presidente ha annunciato il suo ritorno in patria, ma dalla partenza dell’aereo non ci sono più state sue notizie, diventando fonte di preoccupazione per media e leader politici.

 Il Consiglio Presidenziale

A seguito dell’annuncio delle dimissioni del presidente, Haiti è ora governata da un Consiglio Presidenziale, che gestisce questo periodo di transizione dal governo di Henry all’elezione di un nuovo capo di Stato

Il Consiglio è composto da sette membri e due osservatori: il ruolo degli osservatori è stato assegnato ad un leader religioso e ad un rappresentante delle società civili; i sette membri sono invece componenti del mondo imprenditoriale e politico. Ciò che è da sottolineare è che tutti dovranno appoggiare la decisione delle Nazioni Unite su come gestire la crisi nell’isola.

La via per una pace duratura 

In conclusione, la guerra civile ad Haiti rappresenta una delle crisi umanitarie più gravi al mondo, con conseguenze devastanti per la popolazione locale, in ginocchio da mesi. L’unico modo per affrontarla è quello di un impegno sostenuto da parte di tutta la comunità internazionale e delle autorità haitiane non corrotte.

Serena Spirlì

Crediti immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=146821237

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