Translanguaging: what?!

In una società sempre più poliedrica e interculturale, come si è evoluta la sfera linguistica? La linguistica, nelle sue specializzazioni psicolinguistiche e sociolinguistiche, si è interrogata sulla questione attraverso plurimi studi che, dai primi anni 2000, continuano a svilupparsi e a sviluppare, a loro volta, analisi complesse, che rendano conto della commistione culturale, anche nel campo comunicativo.

Se, fino a poco tempo fa, i concetti di bilinguismo e di plurilinguismo sembravano poter riflettere tale mescolanza, in realtà oggi esse sono state ridefinite in chiave più realistica dal concetto che di seguito verrà trattato: il translanguaging.

Origini e nascita del translanguaging

Cen Williams fu l’avviatore di tale principio, coniato sotto il termine gallese trawsieithu. Con esso, in origine,  ci si riferiva all’insegnamento guidato di una lingua sulla base dei compiti somministrati agli studenti, classificati sostanzialmente in attività di comprensione o di produzione. Fu tuttavia Baker a introdurre il termine translanguaging, traducendo il trawsieithu gallese, e definendolo come un processo di costruzione di significati linguistici, ma anche come una forma di modellamento delle esperienze, paragonando la lingua a uno strumento di comprensione e di nuova conoscenza.

In queste prime accezioni è possibile identificare un’accezione del concetto di lingua come veicolo e ricettacolo di nozioni e di contenuti conoscitivi. L’idea di lingua come “pratica linguistica”, infatti, subentrò più specificamente in tempi successivi e, in maniera evidente, con gli studi di Ofelia Garcìa (2017) e le analisi del linguista cinese Li Wei, condotti nel 2018.

Trans + languaging = tante pratiche linguistiche

Il termine translanguaging, come evincibile da una prima analisi superficiale, si compone di due elementi: il nucleo concettuale è insito nel languaging, preceduto, tuttavia, dal prefisso trans, il cui significato appare necessario per la definizione complessiva del concetto dell’intero composto (“trans” + “languaging”).

Il languaging afferisce all’uguaglianza tra lingua e azione: comunicare significa agire dinamicamente, coordinando all’unisono l’atto di conoscitivo a quello comportamentale. È in questo senso che la lingua non è più lo strumento di espressione primaria degli esseri umani, ma diventa il luogo figurativo in cui gli umani vengono plasmati e in cui essi si evolvono. Nel languaging interpretato da Li Wei, la lingua è il punto di convergenza tra la tangibilità dell’agire comportamentale e l’immaterialità delle pratiche storiche e culturali. Esso, pertanto, abbraccia le memorie dei parlanti, incluse le loro esperienze, sentimenti e gli aspetti inerenti la soggettività. Il soggetto che si approccia per la prima volta a una lingua non è più, di conseguenza, percepito come colui che acquisisce la lingua in quanto insieme formale e sistemico di regole, principi e strutture formali, ma piuttosto viene concepito come lo sperimentatore di una nuova cultura e dei valori, nonché delle norme che la costituiscono.

Riprendendo ancora le prospettive analitiche di Garcìa e di Li Wei, il concetto di languaging isolato non prende in conto le sfaccettature plurilinguistiche in cui si ripartisce la realtà socio-linguistica attuale. Ecco perché il termine è stato trasformato, per prefissazione, in translanguaging, un termine che rende onore alla capacità dei parlanti attuali di trascendere i confini di una defined language (lingua prestabilita) per usufruire di un unicum linguistico” che somma alla lingua definita “madre” le lingue del  territorio adiacente al proprio (come le nuances dialettali di zone limitrofe) o idiomi di paesi anche più distanti, ma comunque note (si pensi all’inglese in un mondo in cui la globalizzazione la fa da padrona).

Quella attuale è una realtà plurilingue e, in quanto tale, è abitata da esseri umani pensanti in plurime lingue, che si trasformano da meri pensieri a interi sistemi linguistici, espressi sotto forma di comunicazione (non per forza o sempre verbale).

“è un modo di catturare le complesse pratiche linguistiche in espansione dei parlanti che non
potrebbero evitare di avere avuto delle lingue inscritte nel loro corpo e, tuttavia, vivono fra
diversi contesti sociali e semiotici in quanto interagiscono con una grande varietà di parlanti”

Garcìa, Li Wei (2014)

Insegnare con il translanguaging

In pillole, si è visto quanto importante possa divenire un concetto così complesso ma altrettanto realistico e appropriato al mondo circostante. Come possiamo, tuttavia, pensare di applicarlo nel campo della didattica delle lingue?

Riferendoci ai contenuti nozionistici, la metodologia didattica del translanguaging trova tanta più fertilità quanto più è variegato la ricchezza linguistica dei discenti al quale essa è diretta, tenendo sempre in conto il presupposto della sua nascita: siamo tutti, in un modo o nell’altro, esseri pensanti e parlanti lingue diversificate. Nello specifico, il translanguaging richiede la mobilitazione di molteplici lingue, facendo leva e traendo risorse dalle lingue madri di ogni singolo partecipante. In tale maniera, è possibile proporre alle classi materiali multilinguistici (in forma testuale, scritta, orale, audiovisiva ecc.) e indurle a condividere contenuti da esse prodotti in altrettante lingue. Lo scopo è, pertanto, la sollecitazione al plurilinguismo e il sostegno allo sviluppo di una competenza comunicativa variegata per migliorare lo scambio comunicativo tra studenti e permetter loro di sfruttare le abilità così apprese in contesti collaborativi e non competitivi o emotivamente stressanti.

L’apprendimento in chiave di translanguaging mira, infine, a inserire le persone nel mondo plurilinguistico che ci abbraccia e che, sempre di più, si manifesta, accorciando il divario culturale di cui si impregna la lingua.

Alessia Congiu 

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