Riforma delle pensioni: proteste e occupazioni anche nelle università francesi

In Francia si prospetta una primavera calda dopo la bocciatura all’Assemblea Nazionale delle due mozioni di sfiducia presentate contro il governo per la riforma delle pensioni. La réforme des retraites in questione prevede un innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni a partire dal 2030, con un aumento tempestivo della stessa di 3 mesi ogni anno. Una mossa ritenuta necessaria da Macron per colmare l’esorbitante debito pubblico sui cui le pensioni pesano gravemente. Ma non si tratta semplicemente di aumentare l’età di pensionamento: il procedimento di accesso alla pensione sarà irrigidito da ulteriori vincoli allo scopo di favorire chi prolunga il proprio impiego oltre i 64 anni, penalizzando economicamente chi invece desidera beneficiare prima della propria pensione. Una condizione non considerata sostenibile da chi svolge lavori particolarmente pericolosi e usuranti. Ma ciò che ha dato fuoco alla miccia è stata la scelta del governo di applicare l’articolo 49.3 della Costituzione francese, il quale permette di far passare la riforma senza votazione. Un espediente considerato da molti come un oltraggio ai valori della democrazia.

Da settimane gli scontri in piazza non si placano, con proteste anche violente nelle maggiori città francesi. A Parigi la guerriglia è intensa, i feroci scontri tra manifestanti e polizia comprendono l’uso di idranti e gas lacrimogeni, oltre a numerosi incendi dolosi. A Bordeaux le azioni dei grèvistes sono particolarmente violente, tanto da dare alle fiamme l’enorme portale in legno del comune. Il 23 marzo ANSA ha riportato dati pari a 3,6 milioni di manifestanti in tutta Francia per la CGT, un milione e 89.000 per la polizia. Non ci resta che aspettare i risvolti del prossimo sciopero nazionale programmato per domani, martedì 28 marzo.

Un aspetto sicuramente impattante quanto sottovalutato riguarda l’effetto che la grève sta avendo sulla vita universitaria francese. Gli studenti di tutta Francia stanno infatti partecipando attivamente alle proteste, occupando i locali universitari e organizzando assemblee di confronto pubblico. I blocchi più significativi sono alle università di Parigi 1, Lione 2, Montpellier 3 – Paul Valery e Lille 2, per un totale di una cinquantina di atenei mobilitati.

Questo coinvolgimento porta a una riflessione sull’importanza della partecipazione dei giovani alle decisioni di pubblica rilevanza. I più giovani sono a tutti gli effetti poco toccati dalla questione della riforma (per ora); tuttavia, ciò che emerge è un forte sentimento di responsabilità pubblica che li spinge a porsi in prima linea per sostenere il diritto del popolo francese a manifestare il proprio dissenso. Un atteggiamento senz’altro lodevole, che ci porta ad una riflessione ulteriore: in Italia ci si sarebbe comportati allo stesso modo? O il disinteresse generale, soprattutto dei più giovani, avrebbe prevalso? Si sarebbe arrivati a disabilitare l’accesso alle università per tutte queste settimane? I cittadini avrebbero agito così come i francesi, in modo così intenso e irrefrenabile per perseguire il proprio obiettivo? Questa comparazione fa molto riflettere sulla necessità di alzare la propria voce, perlomeno prima che qualche decreto-legge particolarmente ambiguo possa metterla a tacere.

Inoltre, sebbene molti reputino gli scontri e i blocchi necessari, d’altro avviso sono coloro che vedono le occupazioni universitarie come un danno inaccettabile. Il dibattito si sposta dunque tra chi ritiene le manifestazioni una pura questione di violenza anarchica e chi le definisce necessarie per difendere a gran voce i propri diritti. Una questione intricata che trova semplice risposta nella Storia passata e attuale, evidente richiamo al fatto che la possibilità di dimostrare il proprio dissenso non vada mai data per scontata.

Caterina Malanetto

Fonte immagine di copertina: rtl.fr

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