Iran, migliaia di studentesse avvelenate: la condanna della conoscenza

Dalla fine di Novembre, son state migliaia le segnalazioni di avvelenamento tra le studentesse iraniane  principalmente nel  Sud di Teheran. Per alcune di loro l’inalazione dei gas tossici è costata il ricovero, per altre addirittura la vita . Nei giorni scorsi è stata denunciata un’ondata di nuovi casi, tra cui una serie di intossicazioni di studentesse delle scuole superiori nella capitale Teheran  e Ardabil, dove oltre 100 ragazze sono state portate in ospedale. Si tratterebbe di casi di avvelenamento respiratorio causato da composti chimici disponibili non per uso militare.

Gli episodi di malessere che hanno colto centinaia di ragazze in varie città dell’Iran, sono frutto di un’intossicazione intenzionale.  Younes Panahi, viceministro dell’Educazione del paese islamico, ha apertamente dichiarato che alcune figure “ostili” volevano che le scuole, soprattutto femminili rimanessero chiuse. Attualmente l’Iran ha arrestato nelle nelle province di Teheran, Qom, Zanjan, Khuzestan, Hamedan, FArs, Guian, Azarbaijan ovest, Azarbaijian est, Kurdistan e Khorasan Razavi, un centinaio di persone ricollegabili all’avvelenamento: tra gli ipotetici autori anche alcuni gruppi di appartenenza a terroristi dissidenti, collegati in particolare con un gruppo di opposizione iraniana in esilio con sede in Albania che Teheran considera un’organizzazione “terrorista”, i Mujahedin del popolo dell’Iran o Mujahedeen-e-Khalq (MEK).

La dimostrazione lampante di come un’intera ideologia radicale sia sgomentata e impaurita dalla cultura di giovani donne, che nonostante il regime, decida di difendere il potere della voce da quello della spada. Sui responsabili numerosi sono gli interrogativi: le autorità evocano un “complotto del nemico” e gli attivisti parlano di una campagna mirata contro le donne dopo le proteste per la morte della ventiduenne Mahsa Amini – uccisa per non avere indossato l’hijab in maniera conforme ai dettami della legge coranica-   simbolo della condizione femminile e della violenza esercitata contro le donne sotto la Repubblica islamica dell’Iran. “L’avvelenamento delle studentesse è la vendetta del regime terrorista della Repubblica islamica contro le coraggiose donne che hanno sfidato l’obbligo dell’hijab e scosso il muro di Berlino di Khamenei”, sono le parole della nota attivista iraniana Masih Alinejad, che aggiunge: “vogliono fermare la rivoluzione Donna, vita, libertà”.

Molti sono gli esperti che ritengono lo stesso regime responsabile dell’accaduto: certamente il contesto politico iraniano in questo momento non è ignorabile, e non si può escludere che il regime – se anche non fosse il mandante – possa aver scelto di chiudere un occhio e lasciar fare chi – di fatto – sta contribuendo a generare terrore tra donne e ragazze, in prima linea nelle proteste.
Inoltre, la palese difficoltà dei giornalisti indipendenti a lavorare nel paese rende complicato raccogliere informazioni precise e attendibili su quanto sta succedendo. I genitori delle ragazze e gli attivisti ora chiedono un’indagine approfondita, ma in pochi credono che ciò avverrà. Anche ammesso e non concesso che il regime non sia coinvolto in questi attacchi, Human Right Watch fa notare che le autorità iraniane hanno pessimi precedenti quando si tratta di indagare sulla violenza contro le donne e le ragazze, che nella maggior parte dei casi rimane impunita. E questo fatto, da solo, renderebbe il regime complice di quanto sta accadendo.

Video diffusi sui social mostrano le forze dell’ordine che arrestano e picchiano studenti universitari e insegnanti che sono scesi in piazza in diverse città iraniane contro il misterioso avvelenamento da gas delle studentesse in 25 delle 31 province iraniane. I manifestanti hanno gridato: “Libertà di vita e di donna”, “una scuola non è un campo di battaglia” e “abbasso il sistema che uccide i bambini”.

Alessia Dotta

Crediti immagine copertina: AbbaNews

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