THIS IS FUN, TRA LA LEGGEREZZA E LA PROFONDITÀ DEI PLASTIC PALMS

A pochi giorni dall’uscita del loro nuovo album This is fun, abbiamo intervistato Clarissa Ghelli, cantante, chitarrista e compositrice della band torinese Plastic Palms. Bilingue, metà italiana e metà americana, Clarissa scrive e canta in inglese, affermando che “per me è naturale usare l’inglese e non l’italiano: non lo faccio per piacere agli altri, lo faccio perché mi fa felice, perché mi diverte.”

In questa storia di inizi e di nuove prospettive, si parla di come le persone ‒ e anche la musica ‒ siano cambiate nel corso del tempo e di come gli anni abbiano forgiato stili e personalità.

Quando e com’è nata la vostra band? Da chi è composta?

“È tutto iniziato nel 2020 quando c’è stata la pandemia e io e mio marito Daniel Rineer abbiamo iniziato a scrivere musica a casa. Così è nato il progetto “Plastic Palms”. All’inizio proprio a causa del lockdown, tutto era gestito in via telematica, quindi a distanza. Il primo album “Yellow Panda” è stato pubblicato per la prima volta sotto forma di cassetta, in una versione, potremmo dire più vintage. Ora, però, tutto è cambiato, anche perché “This is fun” è stato registrato a Torino, al Blue Musica, live: è diversissimo rispetto a una registrazione a distanza. Eravamo tutti in stanze diverse ma cantavamo e suonavamo allo stesso momento. Il cambio, però, devo ammettere che è partito tutto da me, ho scritto io le ultime canzoni che sono legate alle mie idee che, successivamente, ho condiviso con Dan e gli altri componenti (se Daniel suona il basso, Sam Vickers è il batterista e Marcello Newman è il chitarrista: ndr).”

I nomi delle band, spesso, hanno un significato intrinseco, un accenno di esperienze, di sentimenti, di consapevolezze. Ma Clarissa ci stupisce:

Cosa significa il nome Plastic Palms?

“Ha un doppio significato: “palma” come la pianta o “palmo” come la parte interna della mano. Mentre per quanto riguarda la plastica è solo l’allitterazione della P, la ripetizione mi è piaciuta subito e forse non ha davvero nessun significato sottinteso, è venuto naturale, spontaneo. È lì per essere lì, senza l’articolo perché è più diretto, più incisivo a parer mio.”

Il vostro primo album, Yellow Panda, è uscito nel 2020, il secondo, This is fun, nel 2023. Che cosa è successo nel periodo tra un album e l’altro? La pandemia ha influenzato il vostro lavoro? Vi sentite più maturi musicalmente adesso?

“Nell’arco di tempo tra i due album abbiamo cambiato un po’ di cose della nostra band, abbiamo introdotto un batterista e un altro chitarrista, e io ho iniziato a scrivere le canzoni oltre che suonare la chitarra ritmica. Nel primo album il lavoro proveniva principalmente da mio marito Daniel, anche se io ovviamente ho contribuito scrivendo un po’ di canzoni. Ma la cosa più importante è l’energia di questo nuovo album, che credo sia molto diversa dal primo: è un album più impulsivo e mi è stato detto che ascoltando le canzoni si percepisce l’ansia. Sono felice perché queste canzoni provengono proprio dalla mia vita, dai miei pensieri e quindi c’è dentro anche la mia ansia.”

Aggiunge, inoltre, che

Quando scrivo butto giù le idee e poi collego le parti tra loro a seconda di quello che sento; se mi piace il risultato, anche se le parti sono molto diverse tra loro, lo tengo e poi ovviamente ci lavoro con gli altri. E questo ultimo album parte proprio da un’energia della serie “who cares” l’importante è che ci divertiamo mentre suoniamo. Quindi tra un album e l’altro il progetto è cambiato, ma non posso dire che sia maturato perché Daniel ha vent’anni di esperienza nell’ambito dei gruppi e della musica in generale e probabilmente ha imparato a capire che cosa al suo orecchio non sembra funzionare. La cosa interessante è che ora è un po’ l’opposto, nel senso che io ho un ruolo creativo molto grande nella band, ma per me è ancora una cosa nuovissima.”

Il vostro secondo album è stato pubblicato da pochi giorni, com’è andata l’uscita? C’è un motivo per cui avete scelto questa data?

“L’album è uscito venerdì 17 (febbraio), un giorno che non dovrebbe essere fortunato, e infatti non lo è stato perché il release show, lo spettacolo per l’uscita dell’album che doveva essere a Bologna, è stato annullato. Ma sicuramente troveremo modo di fare altri concerti, perché è una cosa che voglio fare veramente. Avere le canzoni lì sulle piattaforme è positivo perché permette alla musica di esistere, ma non puoi fare molto più che dire agli amici di ascoltarle.”

L’intervista è continuata, analizzando più nel dettaglio il valore e il significato delle canzoni, a partire dalla prima, “Waiting”.

Qual è la storia di “Waiting”, il primo singolo del vostro album? Qual è il fil rouge che collega tutte le canzoni dell’album? Ce n’è una che ha un significato particolare per voi?

“È la primissima canzone che ho scritto dopo un viaggio in Corsica ma non ha a che fare con la Corsica, bensì con l’estate. Abbiamo fatto questo viaggio in estate, faceva tanto caldo e io non sopporto aspettare soprattutto per la pazienza che manca quando le temperature sono così tanto elevate. In quei momenti, si desidera essere in un luogo fresco, da tutt’altra parte. Ciò che lega i due album e quindi parallelamente le canzoni presenti al loro interno è l’energia che ho messo nello scrivere la musica e le parole, nel credere che quell’energia proviene dalle idee che la mente crea. Quando possiedi un’idea, viene istintivo scrivere quel pensiero, lo vivi, lo “attraversi” a trecentosessanta gradi, lo esplori anche se poi tutto quel flusso di parole che prima aveva un senso totale, poi, magari si perde. È normale, sapete? È il modo in cui funzionano le cose. Avevo paura al principio, non ero cosciente delle mie capacità, credevo di non saper scrivere musica, ma poi mi son detta: “Clarissa, tu puoi correre rischi, lo puoi fare! Tu puoi fare tutto ciò che gli altri affermano tu non sappia fare, è sufficiente credere in te”. Le canzoni parlano della mia infanzia e della mia vita adulta e l’adulto che in me riflette sulla sua versione più piccola, ciò che è stata e ciò che, ancora o meno, è. Alcune canzoni sembrano più banali, altre più profonde. Tutte le canzoni sono importanti per me, non ne ho una in particolare perché tutte parlano della mia vita, di periodi differenti, di momenti e sensazioni diverse.”

All’interno della band c’è qualcuno che scrive i testi e qualcuno che scrive la musica?

“Sono io la penna nel gruppo, colei che scrive la base testuale dei brani ma poi mi confronto con gli altri per arrangiare meglio alcune frasi o note. Adoro il confronto, è stimolante ed educativo. La parte acustica parte anche da me, ma la condivisione è un tassello essenziale per far crescere e mantenere una band.” 

C’è mai stata una canzone che avete scritto e arrangiato in tutto, testi e musica ma che poi non avete inserito per qualche motivo?

“Sì, direi parecchie. Ho un quaderno pieno di canzoni “scartate” non principalmente da me per questioni di gusti o altro, ma semplicemente perché in fase di registrazione non erano giuste, “stonavano” all’orecchio, erano “fuori corda”. Ma nulla toglie che nei prossimi album si possano riprendere, sistemare e pubblicare. Mai dire mai.”

Quindi il titolo This is fun viene dal fatto che ti sei divertita a scrivere queste canzoni?

“Sì, esatto. È un album leggero, dalla mentalità aperta; è anche un commento sul fatto che non sempre la vita è divertente, si possono trovare anche grandi ostacoli. A volte io mi faccio prendere un po’ dall’ansia e i testi riflettono questa cosa di me: io so perché ho scritto determinate cose. Le canzoni forse sono anche un invito rivolto a me stessa per ricordarmi di prendere la vita in modo leggero e di divertirmi.”

Vi ispirate a qualche artista contemporaneo o del passato per i vostri testi e le vostre musiche?

“Non nello stile di scrittura. Quando compongo le canzoni parto sempre dalla melodia, dalla base o dagli accordi e poi il testo viene da sé; spesso prendo spunto da un pensiero relativo al passato, a una persona, a un evento o a una cosa che sta succedendo nella mia vita. In genere provo a ridurre al minimo la quantità di parole per non usarne troppe in un unico testo. Mi piace molto quando le canzoni hanno meno testo perché la melodia regge meglio e mi fa emozionare. Per quanto riguarda l’ispirazione, in realtà io ascolto molte cose diverse: rock, punk, post-punk, new wave o R&B. Mi piacciono molto anche le pop band femminili degli anni ‘60, principalmente per il modo in cui cantano, la tonalità che usano e per gli arrangiamenti delle canzoni.”

Dall’uscita del vostro primo album ci sono stati spettacoli dal vivo? Avete già organizzato altri eventi per This is fun?

“Al momento è un po’ mistero devo dire, perché siamo tre a Torino e uno a Roma. L’album è uscito pochi giorni fa su un’etichetta di Bologna, un collettivo che si chiama We Were Never Being Boring Collective, e adesso dobbiamo capire come proseguire per il futuro. Io personalmente ho la mia visione di come vorrei passare questi prossimi mesi, ovvero poter suonare in diversi posti in Italia o altrove. E poi c’è in programma un altro disco per il futuro.”

Passando dall’italiano all’inglese con una fluidità sconcertante, l’incontro si è concluso con l’augurio che, in un futuro ‒ si spera non troppo lontano ‒, i PP (come Clarissa ama chiamare il suo gruppo) possano esibirsi in giro per il mondo, fare tournée e, soprattutto, raggiungere più realtà, arrivando sino ai giovani. Chissà, magari un giorno parteciperemo a una loro esibizione proprio tra i corridoi della nostra università o in luoghi legati all’ambito scolastico-accademico. 

In bocca al lupo per tutto, PP!

{I loro album si possono ascoltare gratuitamente su Spotify oppure si possono acquistare sul loro sito https://plasticpalms.bandcamp.com/ }

Erika Morrone & Marta Fornacini

Crediti immagine: https://plasticpalms.bandcamp.com/album/this-is-fun

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