Il richiamo della foresta di McCandless e Cognetti

Into the wild: trovare la felicità nelle terre selvagge

Il noto filosofo tedesco Karl Marx, analizzando il sistema capitalista che iniziava ad imporsi come conseguenza dell’industrializzazione, e che continua a dominare il mondo occidentale, individuava tra le maggiori conseguenze di questo sistema l’alienazione. L’operaio, nonostante ci lavori, produce un oggetto che non gli apparterrà mai; ne è dunque “alienato”, separato.  Il  progresso tecnologico, l’industrializzazione e il capitalismo di cui parla Marx hanno portato noi esseri umani a considerarci “altro” dalla natura, a perdere la connessione con l’umano, ad “alienarci” dal mondo in cui viviamo. Questo modo di pensare, però, è fortemente insostenibile e le diverse catastrofi ambientali di cui sentiamo parlare ogni giorno ci stanno pian piano riportando con i piedi per terra, sottolineando come ripensare il nostro stile di vita in connessione con la natura, e non opposto ad essa, sia necessario non solo per la nostra sopravvivenza, ma  per quella dell’intero pianeta.

La ricerca di una natura incontaminata, il desiderio di vivere in simbiosi con la natura, di lasciarsi guidare dall’istinto, in opposizione ad una società guidata dalla ragione, dall’industrializzazione e dal profitto, sono i motivi che spingono Christopher McCandless, giovane americano appena laureato, ad abbandonare la famiglia, la vita a cui era abituato, la sua stessa identità, per intraprendere un viaggio verso l’Ovest degli Stati Uniti, ed arrivare nelle “terre selvagge” dell’Alaska descritte da Jack London, uno degli autori che più lo influenzano. La sua storia ha inspirato il libro Nelle terre selvagge di Jon Krakauer, adattato poi per il grande schermo con lo stesso titolo nel 2007 da Sean Penn, rendendo McCandless uno dei viaggiatori più famosi del mondo. Durante il suo cammino, il giovane americano dovrà far fronte a numerosi ostacoli, naturali e non, incontrerà diverse realtà e persone, che determineranno la sua vera ricchezza e che gli permetteranno di raggiungere l’agognata Alaska, dove vivrà a stretto contatto con l’ambiente attorno a sé, proprio come aveva sperato. La natura però sarà anche ciò che determinerà la sua fine (una delle cause più accreditate sulla sua morte è che abbia mangiato delle bacche velenose), e quindi potremmo concluderne che condurre una vita con la natura sia impossibile. Ma non è così.

L’ eredità di McCandless è la speranza che, come diceva Leopardi, gli uomini possano unirsi in una “social catena” contro la Natura Matrigna, e che quindi si possa vivere con la Natura, ma solo in una società cooperante, che si aiuta a vicenda, come Christopher ha scritto tra le pagine di uno dei libri che aveva con sé: “La felicità è autentica solo se condivisa”.   

Le otto montagne di Cognetti: la montagna come metafora di vita

“La felicità è autentica solo se è condivisa”. Questo monito risuona più che mai ne Le otto montagne, romanzo di Paolo Cognetti, da cui è tratto l’omonimo film uscito il 22 dicembre nelle sale italiane. Come lo ha definito lo stesso Cognetti, Le otto montagne non è solo il racconto di due amici e di una montagna”, è molto più di questo. È un romanzo di formazione, una storia di fughe e di ritorni, un complesso miscuglio di personaggi che cercano di trovare la loro strada nel mondo. Leggendo questo romanzo non possono non venirci in mente i grandi temi della letteratura del ‘900: il difficile binomio padre/figlio, il rapporto uomo/natura, la figura dell’inetto. Temi che fanno da cornice alla montagna, una montagna impervia, con le sue rocce e i suoi ghiacciai, ma allo stesso tempo una montagna verde e rigogliosa, ricca di suoni e di ricordi. 

La montagna diventa inevitabilmente una sorta di narratrice silenziosa nella storia e forgia il carattere dei due protagonisti Pietro e Bruno. Pietro ci racconta la sua vita partendo dalle estati della sua infanzia passate a Grana, un paesino montano della Valle d’Aosta ai piedi del Monte Rosa. Lì, lui e la sua famiglia sperimentano la pace che non riescono a trovare nella grigia e trafficata Milano e sarà in quel paesino sperduto e quasi idilliaco che Pietro conoscerà Bruno, un bambino rozzo e silenzioso, montanaro da sempre. La loro amicizia è un’unica infinita estate ed ogni volta che Pietro ritorna alla casa in montagna è come se neanche un giorno fosse passato. I due ragazzi crescono tra i boschi e i ruscelli della montagna e il loro legame è costellato dalle storie dei loro genitori, specialmente dalle figure dei padri, figure controverse e ingombranti. 

La montagna fa da sfondo e da collante tra i due protagonisti. È una montagna che sa “di stalla, fieno, latte cagliato, terra umida e fumo di legna”. Una montagna vera e austera come i suoi personaggi, la cui amicizia non ha bisogno di parole. È un’amicizia silenziosa ma profonda, un legame che non cambia anche dopo un lungo allontanamento. E così, dopo quasi quattordici anni, Pietro e Bruno si ritrovano per costruire insieme una baita e, in fondo, per ricostruire anche la loro amicizia. Un’amicizia tra due bambini che diventano uomini, ma due uomini molto diversi. Bruno, montanaro fino al midollo che non scende mai dalla sua montagna, e Pietro, che invece non riesce a capire la propria identità e gira il mondo e le sue montagne per poi tornare sempre a quella della sua infanzia. Una montagna che riesce a incantare il lettore e che ci fa venire voglia di seguirli nelle loro avventure sui ghiacciai e nei boschi alpini, ma che ci riporta anche alla mente il difficile rapporto uomo/natura e il fatto che una vita completamente separata dalla civiltà, come ci ha insegnato la triste storia di McCandless, non è realizzabile. 

Lorenza Re e Maël Bertotto

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