E’ il primo gennaio del 1977 quando la showgirl Raffaella Carrà annuncia ai telespettatori di RETE 1, odierna RAI 1, la chiusura di Carosello, il programma televisivo pubblicitario che per vent’anni ha raccontato, attraverso i suoi prodotti e i suoi slogan, i valori e i sogni dell’Italia del boom economico, un paese contadino e sostanzialmente dialettofono divenuto in pochi anni una delle più importanti potenze industriali del mondo.
Un appuntamento fisso per le famiglie italiane che, ogni sera alle 20.50, cenavano in compagnia dell’omino baffuto della moka Bialetti, nato dall’abilissima matita di Paul Campani, o canticchiando il celebre motivetto della réclame dell’amaro China Martini: «Fin dai tempi dei garibaldini, China Martini, China Martini!». Una geniale commistione di teatro, cinema, commedia e varietà che non può in alcun modo essere ridotta a un semplice fenomeno di consumo: l’originalità del progetto RAI è tale che il 5 settembre del 1971 alcuni degli sketch più riusciti del programma vengono esposti al MOMA di New York. Tra i protagonisti indiscussi della nuova pubblicità all’italiana ricordiamo attori e cantanti del calibro di Eduardo e Peppino de Filippo, Totò, Dario Fo e Franca Rame, Franca Valeri, Vittorio Gassman, Mina, Paolo Poli e Nino Manfredi, guidati, non di rado, da registi di punta come Pupi Avati, Federico Fellini, Luciano Emmer, Sergio Leone e Pier Paolo Pasolini.
E’ l’Italia borghese del triangolo industriale Torino-Milano-Genova quella che emerge dai cortometraggi pubblicitari, un microcosmo caramelloso fatto di massaie con marcati accenti milanesi o emiliani, di frigoriferi Ignis e di utilitarie FIAT 500. Un mondo per grandi e piccini tutto al gusto di gelati confezionati Motta e di carne in scatola Simmenthal, «simmentalmente buona!». Con la fine di Carosello, in quel freddo primo dell’anno del 1977, sembra tramontare un’epoca: la promessa di benessere che aveva alimentato la società dei consumi doveva ora fare i conti con le sue contraddizioni, con la strage di piazza Fontana e con le crescenti tensioni politiche degli anni di piombo. Nella società frenetica del boom delle reti private berlusconiane servono nuovi format pubblicitari, più brevi, ripetitivi, facilmente accessibili alle réclame delle multinazionali straniere, che non intendono spendere ulteriori capitali per adattare la loro pubblicità al contesto italiano.

Quei cartoni animati, quei pezzi d’arte che hanno incantato una generazione intera di telespettatori, nel nostro Paese sono morti due volte: dopo trent’anni di politiche di cessione delle aziende e di delocalizzazioni, la maggior parte dei prodotti lanciati da Carosello sono spariti dal mercato, fagocitati dai grandi gruppi stranieri, che hanno spostato la produzione dove la manodopera costa meno.
E’ il caso dei formaggini «Susanna tutta panna» dell’Invernizzi, azienda che, insieme alla Locatelli e alla Galbani, è stata acquistata dalla francese Lactalis, la quale ha prontamente deciso di chiudere nel 2014 lo storico stabilimento «Susanna» nel bergamasco. La fabbrica di pentole a pressione Lagostina, invece, celebre per la «Linea Lagostina» disegnata da Osvaldo Cavandoli, oggi è entrata nell’orbita del Groupe Seb assieme a Tefal, Rowenta e alla francese Moulinex. La piemontese Mira Lanza, che gli italiani associano immediatamente al pulcino Calimero e al detersivo AVA («Ava come lava!»), appartiene alla multinazionale tedesca Reckitt Bencksiter, che ha demolito la sede di produzione di Rivarolo e chiuso definitivamente il marchio italiano. Una sorte molto simile è stata riservata a Simmenthal, oggi della Kraft, a Orzobimbo, della francese Nutrition et Santé, a Motta, Orzoro, Buitoni e Baci Perugina, tutti distribuiti dalla svizzera Nestlé. Non si salvano, purtroppo, nemmeno la China Martini, del gruppo Bacardi, leader mondiale di rum con sede fiscale alle Bermuda, Birra Peroni, dell’Heineken, Nastro Azzurro, della Sab Miller e Plasmon, dell’Heinz. Tra i marchi ancora italiani possiamo citare la Bialetti, che ha chiuso i battenti della storica sede italiana a Omegna (Viterbo), spostando la produzione in Cina, Romania e Turchia.
Micol Cottino