A partire dal 25 febbraio, a Camera di Torino, sarà possibile visitare la mostra fotografica dedicata a Eve Arnold, vero e proprio pilastro della storia statunitense. Ancora oggi le sue foto ci raccontano il Novecento degli USA, divisi (allora come anche oggi, forse) tra il mondo patinato delle star del cinema e la crisi sociale, a partire dal movimento antirazzista per approdare verso quello femminista. La mostra, composta da oltre 170 fotografie, è in collaborazione con la Magnum Photos di New York.
Ma chi era lo sguardo dietro la lente?
Il titolo dell’esposizione, Eve Arnold. L’opera 1950-1980, pone un immediato accento su uno dei momenti focali della carriera di Arnold, e cioè l’inizio della sua collaborazione con Magnum Photos nel 1951. Una data, questa, non solo estremamente significativa a livello personale, ma anche per la Magnum stessa: all’alba degli anni ’50, la trentanovenne Eve è la prima fotografa donna reclutata dalla storica agenzia di stampa.
È sempre negli anni Cinquanta che Eve intraprende una fitta serie di collaborazioni con celebrità e stelle hollywoodiane come Marlene Dietrich, Joan Crawford e Marylin Monroe, che oltre a divenirne la musa – gli scatti più iconici di Marylin sono frutto dell’occhio di Eve Arnold – instaura uno stretto rapporto di amicizia con la fotografa.
Quello che la Arnold cattura, a dispetto della natura dei soggetti, non è il glamour di Hollywood, bensì la persona dietro l’icona del cinema.

Se il fotografo dà importanza alla persona che sta davanti all’obiettivo e ne ha compassione il più è fatto.
Eve Arnold
Nata a Filadelfia nel 1912, Eve Arnold – pseudonimo di Eve Cohen – è figlia di ebrei russi immigrati negli Stati Uniti e nella sua stessa biografia dichiarerà di provenire da una condizione economica tutt’altro che agiata. Dopo aver abbandonato gli studi di medicina, la Arnold incappa nel mondo dell’arte quasi per caso, prima lavorando per una società che si occupa di sviluppare fotografie, poi come fotografa amatoriale grazie alla Rolercoid regalata da un fidanzato.
È nel ’48, grazie alla vittoria di un concorso promosso dalla New School of Social Research di New York, che viene definitivamente consacrata all’arte. Tra gli insegnanti di Eve figura anche Alexey Brodovitch, che non solo influenzerà il suo stile, ma la spronerà a proseguire con i suoi scatti ritraenti il ghetto newyorchese.
La vera forza rivoluzionaria della fotografia risiede proprio, nell’intenzione, cioè, di raccontare con la crudezza tipica della realtà la bellezza e l’orrore del suo tempo.
La poetica di Eve Arnold nasce infatti nel ghetto di New York, a partire dai primi lavori datati 1947: è nell’Harlem che la donna prende confidenza con la macchina fotografica, scattando in occasione di sfilate cui prendono parte modelle latinoamericane e afroamericane. I soggetti, tanto quanto la cultura che rappresentano, vengono subito etichettati come troppo scandalosi per il pubblico statunitense bianco e benpensante e le foto vengono pubblicate oltreoceano, in Inghilterra, dove riscontrano un immediato successo.

Nel ’51, poco prima di essere notata dalla Magnum, Eve entra a contatto con i movimenti antirazzisti di Malcom X, documentando nel decennio successivo l’ascesa della Nation of Islam. Il celebre ritratto dell’attivista afroamericano non è però l’unica testimonianza di anni di lotte: nel corso della sua vita Eve viaggia anche in Africa e in Sudamerica per raccontare le storie delle minoranze, degli emarginati, della forza intrinseca di chi non vuole piegare la testa. A partire dalla Russia degli anni Cinquanta, viaggia poi in Afghanistan dove racconta e ritrae la condizione femminile, poi in Mongolia, a Cuba (dove documenta i riti vodoo), persino al Vaticano. Oltre all’arte della fotografia, Eve documenta i suoi viaggi con reportage scritti che ben presto si trasformeranno in libri.
Quello che emerge, tanto dagli scatti quanto dalla prosa, è la totale assenza di mistificazione dei suoi soggetti: quello che Eve vede è ritratto e messo a nudo dalla lente, senza artifici. Del resto la vita della Arnold non è stata semplice: nel corso degli anni deve fare i conti con un divorzio e un aborto spontaneo ed è infatti da questa esperienza che nasce uno dei progetti più toccanti e personali del suo repertorio, A baby’s first five minutes, in cui fotografa i primi cinque minuti di vita dei bambini appena nati al Mother Hospital di Port Jefferson. A questa idea Eve dedica sette anni della sua vita durante i quali tenterà di elaborare il lutto.

L’artista poliedrica che approderà a Torino, dunque, è una donna che ha sfidato e battuto ogni record: prima freelance di Magnum nel 1951, sei anni dopo diventerà parimenti la prima socia donna dell’agenzia.
E se inizialmente combatte per la discriminazione nei confronti delle donne, di cui lei in primo luogo è vittima, negli ultimi anni si mobiliterà per restaurare la figura dell’anziano, il cui ruolo all’interno della società deve figurarsi ancora come un contributo attivo. In tal senso, Eve continuerà a scattare fino all’ultimo: la sua produzione prolifica sino agli anni Novanta e Duemila, con la pubblicazione di reportage sulla Famiglia Reale britannica e la Regina Elisabetta II, nonché con l’uscita di un autobiografia in cui vengono raccontati ben cinquant’anni di carriera, In Re trospect.
Rebecca Siri
Crediti immagine di copertina: https://www.nikonschool.it/sguardi/92/eve-arnold.php
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