L’obbedienza all’autorità spiegata dall’esperimento di Milgram

Nei giorni che precedono e succedono il 27 gennaio, la Giornata della memoria, ci ritroviamo a riflettere sulle sofferenze delle vittime dell’Olocausto e sull’assenza di umanità da parte dei carnefici. 
I processi di Norimberga e di Gerusalemme che si tennero negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale per condannare i colpevoli, fecero emergere da parte dei nazisti condannati una giustificazione unica: avevano solamente eseguito gli ordini stabiliti dall’autorità.

Questo tipo di  comportamento fu analizzato dallo psicologo Stanley Milgram nel 1961 in un esperimento sociale che suscitò molte critiche e indignazioni, al punto da rendere vietata la sua replicazione in molti paesi.

Milgram voleva studiare il comportamento degli individui in un contesto di obbedienza nei confronti delle autorità. 
Un gruppo di uomini tra i 20 e i 40 anni di contesti sociali differenti partecipò all’esperimento, senza conoscerne il motivo reale. Tramite un sorteggio truccato vennero assegnati i ruoli di insegnante e allievo. Gli insegnanti erano i soggetti che partecipavano all’esperimento, mentre gli allievi erano interpretati da attori complici.

Lo svolgimento dell’esperimento avveniva nel modo seguente: il soggetto che aveva il ruolo di insegnante doveva azionare un generatore di corrente elettrica. Vicino all’insegnante c’era il ricercatore, un altro attore che interpretava il ruolo dello scienziato che assegnava le istruzioni per il corretto svolgimento dell’esperimento.

In una stanza adiacente era seduto l’allievo, il quale indossava un elettrodo al polso e doveva imparare a memoria una sequenza di parole, per poi essere interrogato dall’insegnante. Nel momento in cui sbagliava la risposta, l’insegnante doveva far partire una scossa elettrica, e l’allievo, essendo un attore, fingeva di provare dolore lamentandosi. 

Milgram ha inoltre sperimentato quattro livelli di distanza. Al primo livello l’insegnante non vedeva e non ascoltava i lamenti di dolore dell’allievo; al secondo, poteva soltanto ascoltare; al terzo livello poteva ascoltare e vedere l’allievo lamentarsi; nel quarto livello poteva anche spingere il braccio dell’allievo contro una piastra elettrica. 

Fu notato che se l’insegnante non poteva percepire la sofferenza dell’allievo, obbediva maggiormente agli ordini, in caso contrario si mostrava più restio. Infatti, al primo livello di distanza, il 65% dei soggetti proseguì l’esperimento. Solo il 30% si spinse fino al quarto livello. 

Dopo diversi esperimenti di questo tipo effettuati a molteplici gruppi di individui, Milgram giunse alla conclusione che in un contesto sociale, quando le persone si ritrovano in uno stato agentico, riconoscono una determinata autorità e consentono a questa di dirigere le proprie azioni. Questo avviene perché il soggetto autoritario viene visto dagli individui come una persona qualificata per dirigere un determinato gruppo di persone. In questo caso il ricercatore aveva il ruolo di scienziato e sicuramente poteva suscitare nei partecipanti l’idea di essere legittimato a dare determinati ordini. Inoltre, l’individuo che esegue gli ordini ha la tendenza a credere che l’autorità si assumerà le conseguenze delle proprie azioni. Perciò, la sofferenza dell’allievo alle scosse era una responsabilità dello sperimentatore, non dell’insegnante.

Questo esperimento è stato criticato per essere poco etico e perché sembrava giustificare le atrocità commesse dai nazisti. In realtà,  ha  analizzato più in generale un comportamento sociale umano, dimostrando come l’obbedienza delle persone agli ordini di un’autorità dipende anche dalla percezione della propria responsabilità  per le proprie azioni. Alcuni si sentono responsabili in prima persona, altri delegano la responsabilità a chi fa eseguire gli ordini. In quest’ultimo caso però, i valori etici e morali dell’individuo possono essere messi in dubbio in quanto l’obbedienza può infliggere danni e dolore a terze parti.

Gabija Jonaityte

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