La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha spedito una lettera a tutti i leader europei in vista del summit straordinario del 9-10 febbraio, riguardo un nuovo piano di riforma che prevede l’eventuale mobilitazione dei finanziamenti europei per aiutare gli Stati membri a rafforzare le infrastrutture per il controllo delle frontiere.
Bruxelles cambia decisamente posizione rispetto a un argomento sul quale era sempre parsa intransigente: una svolta inedita per lo scenario europeo, visto che poco più di un anno fa la stessa Commissione aveva negato la possibilità di usare i fondi del bilancio Ue per le barriere anti-migranti. Nella lettera, il Capo dell’esecutivo europeo raccoglie in 15 punti le riforme più salienti da attuare, relative soprattutto al rafforzamento di barriere esterne tramite mirate posizioni dell’Unione Europea.
Lo sgomento dell’opinione pubblica dinanzi a termini come ‘infrastrutture’ e ‘muri’ – lasciati intendere solo come barriere materiali, discostandosi da una celata distanza ideologica – rappresenta la poca consapevolezza che contraddistingue questo periodo storico. Numerose sono le barriere fisiche vigenti ancora oggi in Europa e nel mondo, quali la barriera di filo spinato in Ungheria voluto da Viktor Orban, il muro costruito nel 2015 al confine con la Serbia per “preservare le radici cristiane” del Paese (esempio seguito anche da Slovenia e Macedonia) o i 176 chilometri di filo spinato che la Bulgaria ha predisposto lungo il confine con la Turchia. In questi casi però, aldilà delle varie distorsioni valutative a cui forse preferiamo credere, la barriera non può necessariamente più assumere un’accezione di confine territoriale, ma acquisisce un significato più ampio, come “separazione” tra un “noi” e un “loro”, e come limite nella costruzione di società inclusive.
Infatti, proprio riguardo la Bulgaria, pochi giorni fa, il cancelliere austriaco Karl Nehammer ha espressamente sollecitato un intervento riguardo la direttrice migratoria balcanica, richiedendo uno stanziamento di circa due miliardi di euro per costruire una vera e propria barriera eretta dalla Bulgaria al confine con la Turchia. In merito alla questione, è intervenuta la commissaria Ylva Johansson, specificando che “il bilancio Ue non prevede risorse sufficienti per finanziare i muri anti-migranti”, a meno che ogni Stato coinvolto non ridefinisca tacitamente il proprio concetto di ‘priorità’; la proposta, però, ha ricevuto il beneplacito della Von der Leyen, la quale ha lasciato espressamente intendere che la situazione sia una preminenza su cui dover tempestivamente lavorare.
La reale novità riguarda però gli hotspot.
Facciamo un passo indietro e domandiamoci cosa sono effettivamente questi hotspot e a cosa servono.
Gli hotspot sono strutture create e allestite per sostenere i Paesi più esposti al flusso migratorio, garantendo un’immediata registrazione dei migranti. Questi ultimi saranno trattenuti nei vari centri, fino alla conclusione di tutte le procedure di identificazione.
L’Unione Europea ritiene cruciale un rinvigorimento della presenza di Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) e entro la prima metà del 2023 ha intenzione di presentare un progetto pilota per istituire hotspot in cui effettuare le cosiddette “operazioni di frontiera”, prevedendo un esame accelerato delle domande d’asilo ai confini d’Europa, con conseguente rimpatrio per chi non ha diritto.
Altro punto focale è il monitoraggio dei movimenti secondari, concentrandosi maggiormente sull’adozione del Regolamento di Dublino – trattato che definisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per una domanda di protezione internazionale – che fino ad ora, a causa della sua scarsa messa in opera, ha ottenuto risultati di poco valore.
Nelle lettere, Ursula von der Leyen garantisce la volontà di offrire sostegno ai Paesi in difficoltà, adoperando il meccanismo della redistribuzione volontaria: Bruxelles chiede un’accelerazione con il piano per i ricollocamenti dei richiedenti d’asilo, in modo da aiutare gli Stati membri, ‘disincentivati’ dall’eccessiva pressione degli sbarchi.
Alessia Dotta