Bechdel Test

La battaglia femminista per la parità dei sessi in ogni sfera della vita quotidiana è ancora oggi, purtroppo, tutt’altro che terminata. L’ondata di protesta che sta attraversando le strade dell’Iran negli ultimi mesi è forse l’esempio recente più lampante per parlare di libertà e uguaglianza per le donne, una realtà in apparenza lontana dalla nostra, ma di fatto molto più vicina di quanto possiamo pensare. Spesso generalizziamo pensando che in “Occidente” le donne siano più libere ma, se sotto certi aspetti questo può definirsi vero, sotto altri punti di vista i principi del patriarcato agiscono “sotto copertura”. Senza dilungarci su questioni complesse come la parità di salario o la violenza di genere, pensiamo per esempio al numero di cantanti femminili presenti nelle principali playlist di Spotify, nettamente inferiore rispetto a quello delle voci maschili. O ancora, i personaggi femminili nella narrativa e nel cinema, specialmente nel genere rosa: sempre donne invischiate in relazioni tossiche con uomini tormentati e bastardi, come se questa fosse la norma e non la grave eccezione contro cui battersi. A tal proposito, avete mai visto in un film un personaggio femminile parlare con un’altra donna di un argomento che non riguardi un uomo?

Three basic requirements

A questa domanda ha cercato di dare una risposta la fumettista statunitense Alison Bechdel, la quale negli anni Ottanta ha pubblicato una serie di criteri che i film devono rispettare per superare il così detto Bechdel Test. Mo e Ginger, due donne protagoniste dell’episodio a fumetti The Rule, dibattono sul trascorrere o meno una serata al cinema e la seconda decide di accettare solo se il film in proiezione avesse rispettato «three basic requirements» (tre criteri basilari): avere almeno due donne che facciano un dialogo tra loro su qualsiasi cosa che non riguardi un uomo. E se questo può sembrarvi un gioco da ragazzi, vi stupirà sapere che i più grandi cult della storia del cinema non hanno superato la Regola di Bechdel.

Crediti: fumettologica.it

Se inizialmente questo test si limitava a una striscia fumettistica, negli anni Alison Bechdel ha continuato ad approfondire la questione, suscitando anche interessi accademici e critici a riguardo. Negli episodi successivi del fumetto Dykes to Watch Out For (da cui è tratto The Rule), l’artista specifica che la sua fonte d’ispirazione per i tre criteri fu Liz Wallace, a sua volta ispiratasi a una riflessione di Virginia Woolf sul ruolo della figura femminile nei romanzi del tempo: anche in quel caso le donne erano nella maggior parte dei casi narrate come dipendenti dagli uomini, mai autonome e con una personalità propria. Un modus operandi radicato nella cultura dai tempi della Bibbia, se pensiamo.

Era strano pensare che tutte le grandi donne della narrativa, fino ai tempi di Jane Austen, non solo erano viste attraverso gli occhi dell’altro sesso, ma erano viste unicamente in rapporto all’altro sesso.»

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé

Se provassimo a girare il quesito del test al contrario, invece, ci sarebbero differenze? Ebbene sì, nei libri e nei film pullulano conversazioni tra uomini su argomenti che non riguardino le donne e, l’esperta accademica di massmediologia Christa van Raalte, ha certificato che trovare personaggi maschili in dialogo tra loro per l’amore di una donna sia un’impresa altrettanto ardua.

Quali riscontri ha avuto nella critica cinematografica?

Sebbene inizialmente il test di Bechdel fosse stato sminuito e trascurato, a partire dagli anni Dieci del nostro secolo la critica cinematografica ha riscontrato un forte interesse per la questione, a tal punto da essere utilizzato come base di partenza per valutare i film in base alla questione di genere. In Svezia, nel 2013, il Bechdel Test divenne uno dei criteri di classificazione dei film per un canale via cavo e ben quattro sale cinematografiche. Dal 2014, invece, Eurimages lo include nei requisiti necessari per valutare un film in relazione al rispetto della parità di genere. Da circa cinque anni, invece, gli sceneggiatori hanno a disposizione dei software impostati per tutelare il rispetto dei criteri di Bechdel a favore dell’uguaglianza tra uomini e donne. Una rivoluzione necessaria se consideriamo che nel 2014 tra ben nove film candidati all’Oscar, solo quattro riuscivano a superare il test, nonostante quella fosse considerata un’annata di ruoli femminili particolarmente forti e rilevanti all’interno delle narrazioni. Nel 2011 i titoli in grado di vincere la sfida lanciata dalla fumettista furono invece soltanto due su nove. Insomma, parliamo soltanto di una decina di anni fa. Oggi invece? È stato osservato che i film in linea con i criteri di Bechdel hanno maggior successo finanziario rispetto a quelli impregnati di maschilismo nascosto e i film che si impegnano a rispettarli sono in aumento. Tra i film che hanno superato il test vi sono titoli come Kill Bill vol.1 e Kill Bill vol.2, Frozen, Alien, Ocean’s 8; mentre falliscono titoli quali Harry ti presento Sally, Avatar, The Social Network e Ratatouille.

Limiti e riflessioni

Nonostante il forte contributo fornito dal test, anch’esso ha i propri limiti: innanzi tutto non identifica la presenza di contenuti sessisti, non tiene conto del contesto in cui viene sviluppata la storia né del punto di vista del personaggio narrante inserito in quel contesto, inoltre, non viene fornita una definizione puntuale di “conversazione”.

Eppure, il Bechdel Test è un interessante spunto di riflessione riguardo quanto la nostra cultura sia impregnata di valori che remano contro la disuguaglianza di genere, a volte fino al punto di non farci caso; su quanto effettivamente le battaglie femministe abbaino bisogno di intervenire anche su un modo di pensare talmente diffuso da diventare norma e non becera eccezione. Una rivoluzione apparentemente superficiale, ma che di fatto colpisce la base su cui si fonda il pensiero patriarcale, lo stesso che conduce i produttori a molestare le attrici, le donne a restare con uomini dagli atteggiamenti tossici come i protagonisti del genere rosa in una realtà tutt’altro che rosea.

Giulia Calvi

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...