Il 2018 è stato un anno memorabile per l’MCU (Marvel Cinematic Universe), avendo visto la comparsa di film importanti come Black Panther, unica pellicola ad aver vinto 3 oscar (Miglior scenografia, Migliori costumi e Migliore colonna sonora), e l’incredibile Avengers: Infinity war. Ma questo succedeva ormai quattro anni fa. Ora la Fase 4 ha dato inizio alla Saga del Multiverso e si sono scatenate le polemiche, aumentate dopo l’ultima uscita MCU del 9 novembre, Black Panther: Wakanda Forever, che ha diviso i fan.

Il film appare come un intreccio tra realtà e finzione cinematografica. Wakanda forever è un magnifico requiem in onore di Chadwick Boseman, attore che nel 2018 aveva impersonato per la prima volta Black Panther, ma che morì di cancro nel 2020. Wakanda inizia proprio con la tragica morte di T’Challa (Boseman), re del Wakanda, e con i tentativi vani della sorella Shuri (Letitia Wright) di salvarlo. La sua scomparsa è stata un duro colpo non solo per l’MCU, trovatosi senza uno dei suoi pilastri, ma anche per la comunità afroamericana: negli USA Black Panther è stato da subito associato al movimento Black Lives Matters. Per continuare ad onorare Boseman, i Marvel Studios non hanno voluto sostituire l’attore o usare un deepfake, e il regista Ryan Coogler ha scelto di adattare Wakanda alla realtà, inserendovi uno T’Challa morto per una malattia misteriosa.
I Marvel Studios hanno quindi dovuto affrontare una sfida sociale e politica: Black Panther era ed è il solido simbolo di un messaggio che non poteva scomparire. La Pantera Nera è perciò mutata da carne a spirito: una visione di libertà e di coraggio di un popolo unito nella lotta contro le catene della storia.

Wakanda Forever si fa portatore di temi importanti, come quello delle donne e della loro forza. Troviamo Okoye (Danai Gurira), generale delle Dora Milaje, potente e orgogliosa guerriera di cui emerge il lato emotivo. La protagonista non è da meno: Shuri è la mente creatrice di molte delle avanzate tecnologie wakandiane ed è la prossima Black Panther, simbolo della forza necessaria per proteggere il suo popolo. Ma anche in lei scopriamo un lato psicologico, quello legato al lutto: la negazione, il dolore, la vendetta e infine l’accettazione. Positivo è il parallelo tra la storia del Wakanda e quella della città marina di Talokan, su cui governa il semidio maya Namor (Tenoch Huerta), fondata per sfuggire ai conquistadores. Black Panther conferma ancora una volta l’interesse storico per la sorte che molte popolazioni hanno dovuto subire.
Wakanda presenta però tasti dolenti, in primis la durata. 2 ore e 41 minuti ne fanno uno dei film MCU più lunghi, un’estensione temporale ingiustificata. Sono numerose le scene senza le quali la storia potrebbe funzionare, come quelle del ritorno dell’agente Everett Ross. La critica si è scagliata anche contro il CGI, aspetto non trascurabile se si parla di supereroi. Nonostante la computer grafica 3D sia stata un punto di forza dei Marvel Studios sin dalla Fase 1, quasi tutta la Fase 4 è contraddistinta da una scarsa qualità. Wakanda a tratti conferma questa impressione, rendendo evidente e plastico l’uso di questa tecnologia. L’aspetto più grave del film è che sembra mancare il classico fil rouge che lega insieme tutti i film Marvel nella Saga dell’Infinito. Se Wakanda aveva l’ambizione di farlo con Riri Williams, la futura Ironheart (Dominique Thorne), ha fallito, creando un personaggio senza carattere.

Balck Panther: Wakanda Forever è uno splendido omaggio a Boseman, dall’intreccio godibile grazie all’interpretazione dei personaggi, impegnati a trasmettere il dolore del lutto. Questo capitolo consegna definitivamente alla figura di Black Panther, alti ideali di libertà e autodeterminazione. Nonostante ciò, Wakanda conferma l’impressione generale relativa a quasi tutti i film e mini-serie della Fase 4 (salvo Spider-man: No way home e Doctor Strange nel Multiverso della Follia): fini a se stessi e mancanti di collegamento logico. Nella Saga dell’Infinito ogni personaggio era presentato in funzione di un obiettivo preciso e ciascuno si incastrava con gli altri in un puzzle enorme, logico e meraviglioso. Per ora la Saga del Multiverso è un’accozzaglia di pezzi, di spin-off che impallidiscono di fronte all’opera monumentale delle prime 3 fasi.
Rachele Crosetti
Crediti immagine di copertina: Disney Plus