Sebastiao Salgado: fotografie in giro per il mondo

Gli esseri umani sono il sale della terra: questo è ciò che spinge Sebastiao Salgado ad essere così interessato alla loro natura.
Nato in Brasile l’8 febbraio del ’44, Sebastiao è un instancabile viaggiatore. Dopo essersi laureato in economia, capisce che quello non è il suo cammino. Si trova a Parigi con la moglie Lélia quando capisce che la macchina fotografica sarà la sua eterna compagna di viaggio. È così che lascia il lavoro in banca per dedicarsi alla fotografia: con Lélia progetta continuamente nuovi reportages, che costituiranno un pezzo fondamentale della storia contemporanea.

L’impegno sociale

Otras Americas
La maggior parte dei progetti di Sebastiao sono legati a temi e problematiche sociali.
Il primo grande reportage che lui e Lélia hanno concepito è quello che prende il nome di Otras Americas: un viaggio nel più profondo Sud America. L’idea di intraprendere questo viaggio è anche spinta dalla voglia di Sebastiao di tornare nelle sue terre natie, da cui aveva dovuto allontanarsi a causa della forte dittatura militare degli anni ’60. Sebastiao viaggia principalmente tra l’Equador, il Perù, la Bolivia. In questi paesi incontra popoli a cui si sente molto vicino e che catturano la sua attenzione per alcune usanze fortemente radicate culturalmente: i Salaguros, grandi bevitori di alcol; i Miches, incessanti suonatori; i Taraumara, instancabili corridori. Nel Nord Est del Brasile, suo paese natio, Sebastiao spende circa 6 mesi e documenta la nascita del movimento Sem Terre: contadini senza terra, si battono per questa – per saperne di più link.

L’ Africa
Altro territorio su cui Sebastiao ritorna più volte è l’Africa.
Alla fine degli anni ’80, passa un po’ di tempo in Etiopia e poi in Mali per il suo progetto Sahel: la fine della strada: lui e Léila volevano fare una storia sulla fame, soprattutto in questi territori dove, secondo Sebastiao, le carestie erano causate da un problema di redistribuzione delle risorse e dei beni alimentari. Le immagini scattate da Sebastiao sono molto forti, ma con questo progetto riuscì ad attrarre l’attenzione del mondo sul problema della siccità e sul destino di queste persone.
Un altro progetto lo portò a tornare in Africa: Exodus. Questa volta al centro vi erano le migrazioni dei popoli. Passò quindi qualche anno a fotografare lo spostamento dei Tuzi dal Rwanda verso la Tanzania, causato dall’oppressione degli Utu; poi lo spostamento degli Utu in direzione contraria a causa dell’oppressione Tuzi. Questo progetto lo portò anche nei campi profughi della Jugoslavia tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dell’ultimo decennio.

Una possibilità: Instituto Terra

“Siamo animali molto feroci, siamo animali terribili, noi umani”. Questo ciò che pensava Sebastiao, dopo una vita passata a fotografare gli umani e le loro azioni. Fino a quando Lélia ebbe un’idea: ripiantare la foresta pluviale intorno alla fasenda del padre di Sebastiao. Si trattava di un territorio divenuto arido, ma che anni addietro ospitava la Mata Atlantica. Nel giro di 10 anni, quella idea divenne concreta: oggi ci sono 1 milione di alberi e quel territorio ha preso il nome di Instituto Terra.
Vedere crescere quelle piante, rinascere i ruscelli, guarì l’anima di Sebastiao che nel 2013, insieme a Léila, decise di progettare un nuovo reportage: Genesi, un omaggio alla Terra. Con questo lavoro Sebastiao voleva fotografare posti, popolazioni, animali, che erano rimasti tali dal giorno della loro creazione. Conobbe così il popolo Yali in Indonesia, quello dei Nenet in Siberia e gli Zue in Amazonia; fece amicizia con una balena e con l’ultima colonia di leoni marini dell’Oceano Artico.

Sebastiao Salgado ha girato il mondo, ha conosciuto tante persone e i suoi occhi hanno visto molti paesaggi. Ora è tornato a vivere nella fasenda dove è cresciuto, in mezzo all’Instituto Terra. È così, come lui sostiene, che si chiude il suo ciclo.

Emily Aglì

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