Quando visitiamo un museo è consuetudine, o meglio, obbligo, il rispetto dell’opera d’arte. Un rispetto non solo di tipo emotivo riguardo ciò che essa rappresenta e le sensazioni che scaturisce nello spettatore, ma soprattutto un rispetto fisico: “non si tocca”, in certi casi non si fotografa nemmeno. Regole basiche per la conservazione ottimale del lavoro di un artista nel corso dei secoli. Addirittura il restauro è studiato in ottica conservativa.
Sfortunatamente, l’opinione comune tende a considerare le opere d’arte in due categorie: quelle di serie A, idolatrate e trattate con cura, solitamente quadri e sculture datate nei secoli; quelle di serie B, in cui rientrano quelle forme artistiche “minori”, che “non possono” tener testa a capolavori michelangioleschi. La moda fa ancora parte di quest’ultima categoria, a braccetto con la settima arte. Recentemente, l’abito da sera indossato da Marilyn Monroe in occasione del quarantacinquesimo compleanno di JFK è stato trattato tutt’altro che con i guanti d’argento: dato in prestito senza cura e (forse) danneggiato involontariamente da colei che l’ha affittato. Ma domandiamoci, è giusto che un capolavoro della moda da museo debba essere trattato come un banale abito vintage, ignorando l’importanza storica che esso ricopre?
Happy Birthday Mr. President Dress, la storia
L’abito venne realizzato nel 1962 dallo stilista dell’atelier di Jean Louis, Bob Mackie. Chiffon rivestito di cristalli, dello stesso colore della carnagione della diva più importante di Hollywood. Una mise che sottolineava minuziosamente la sensualità di Marilyn, attillato e con una profonda scollatura sulla schiena. La leggenda narra che per calzarle a pennello, le fu cucito direttamente addosso. Oltre alla bellezza emanata da una perla dell’alta moda indossata da un’icona, l’importanza storica è consacrata da un primato: sancisce la nascita degli abiti nude.
Marilyn con addosso “pelle e perline” (A. E. Stevenson) ha intonato le note della celebre canzone Happy Birthday Mr. President circa tre mesi prima della sua scomparsa, una sorta di “testamento artistico” di sé stessa e della sua bellezza. Nel corso degli anni è stato battuto all’asta due volte, entrambe raggiungendo il record dell’abito più caro che sia mai stato venduto: nel 1999 al prezzo di 1.267.500$ e nel 2016 per ben 4.800.000$, cifre ancora più esorbitanti se pensiamo che l’attrice lo acquistò insieme alle scarpe a soli 1.440$. Attualmente è conservato presso il museo di cimeli Ripley’s Believe It or Not! e, senza ombra di dubbio, non possiamo paragonare quest’abito a un vestito qualsiasi.

Kardashian Gate
Le luci dei riflettori sono state nuovamente puntate addosso alla creazione di Bob Mackie durante lo scorso Met Gala, al quale l’influencer Kim Kardashian si è presentata con indosso l’Happy Birthday Mr. President Dress originale. Per indossarlo ha dovuto seguire una dieta più folle che ferrea, anche se non ha raggiunto la taglia alla perfezione, dovendo poi coprire una toppa sul retro con una pelliccia bianca.
I principali cultori della moda non hanno visto di buon occhio la scelta di Kim e di Ripley’s: l’abito è un pezzo storico e come tale deve essere trattato. Scuciture, sudore, luci dei riflettori rischiano di degradarlo prima del tempo. Dopotutto, qualcuno si sognerebbe mai di indossare un capo di età barocca o della belle époque? Perché un abito di sessant’anni fa dovrebbe essere trattato con meno delicatezza e rispetto? La restauratrice Sarah Scaturro, inoltre, sostiene che la mossa di Kim abbia creato un precedente con possibili ripercussioni in futuro, in quanto negli anni Ottanta venne vietato il prestito di abiti da museo (fonte: Ansa).
Negli ultimi giorni, il dibattito si è riacceso: Fortner accusa Kardashian di aver creato danni irreparabili al vestito di Monroe, tra cui strappi a varie cuciture e cristalli mancanti. La controparte nega e il museo pare aver dimostrato che i presunti danneggiamenti siano di fatto assenti, sottolineando che Kim abbia tenuto addosso il cimelio per pochi minuti.
Riflessioni
Indipendentemente dalla attendibilità delle accuse sui deterioramenti o no, vale la pena riflettere su quale sia l’effettivo valore dato alle creazioni artistiche d’alta moda: quando un abito fa il suo ingresso in un museo è un semplice indumento d’atelier, o un pezzo d’arte? E se appartenesse a quest’ultima categoria, perché un museo trascura il suo compito principale, ovvero la tutela dell’opera? Perché esistono ancora “Opere” d’arte e “operette”?
Affinché errori del genere non accadano in futuro – avendo di fatto Kardashian aperto le porte a future richieste – è necessario che la tutela del patrimonio artistico della moda venga ampliata ai livelli dell’arte figurativa e dei reperti storici, in modo tale da poter consegnare ai posteri pezzi pop di degno rispetto.
Giulia Calvi