Sono poche le figure che hanno saputo non solo interpretare ma interiorizzare e incarnare lo spirito del loro tempo come quella di cui si presenterà il ritratto in quest’articolo. E tra queste poche figure un numero ancora più esiguo è stato dimenticato in maniera ingiusta e lasciato nell’ombra del tempo e di altre figure a cui invece il mondo ha dato il riconoscimento meritato.
Tra queste pochissime figure risalta quella di Dora Maar: fotografa, poetessa, pittrice, dama del surrealismo. Il suo nome viene spesso accostato a quello di Picasso, con cui ebbe una relazione per nove anni. Il loro primo incontro nel suo essere pittoresco, quasi macabro, sembra anticipare l’estrema sofferenza e il controllo totale e annientante che questo rapporto eserciterà sulla vita personale e professionale di Maar da lì in avanti. I due si incontrano infatti nel 1935 a Parigi, sul set del film Le crime di Monsieur Lange di Jean Renoir, dove Dora lavorava come fotografa di set. Il poeta Paul Eluard presentò i due, mentre Dora era seduta sola a un tavolo di un caffè, intenta a colpire con un coltellino lo spazio tra un dito e l’altro della mano, inguantate di bianco, non fermandosi neppure quando si feriva per errore. Il pittore si fece dare quei guanti insanguinati e li espose su una mensola del suo appartamento. Una metafora calzante per un rapporto che da lì in avanti si impadronirà completamente di Maar soffocandone ogni slancio vitale e creativo e in cui la sofferenza causata dalla crudeltà e dalle umiliazioni a cui Picasso la sottoponeva veniva messa in mostra come un trofeo. Per molto tempo la figura di Dora Maar è coincisa in maniera precisa con il suo ruolo di musa di Picasso: la “donna che piange”, come la ritraeva il pittore, imprigionata in un archetipo simbolo di sottomissione forgiato da una mente maschile e che viene perfettamente identificata con le sue lacrime, senza possibilità di emancipazione dalla sofferenza che le era stata imposta, senza possibilità di esistere al di fuori di quelle lacrime immortalate su una tela che decretava la sua morte come individuo.


Ma Dora Maar non era solamente la sua sofferenza: Henriette Theodora Markovitch, vissuta tra Parigi e Buenos Aires, si era già fatta un nome come fotografa e come artista all’interno della Parigi degli anni Venti. Nel 1926, a 19 anni, frequentò l’Ecole Photographique de la Ville de Paris ed entrò a far parte dell’Académie Julian, una scuola che sosteneva l’integrazione delle donne nel mondo dell’arte. Maar conosceva bene le difficoltà che le donne dovevano affrontare per lavorare nell’ambito artistico, come è evidente da quest’estratto proveniente da uno dei suoi diari, riportato alla luce di recente da Slavenka Drakulić: “Essere moderne per noi donne voleva dire comportarsi in maniera ancora più radicale degli uomini (…) Il paradosso del surrealismo e degli anni Trenta era che all’epoca, forse per la prima volta, le donne potevano occuparsi di arte senza essere ritenute prostitute. Ciò tuttavia non voleva dire che la critica o il pubblico le avrebbe prese seriamente”.
I suoi primi lavori, compresi quelli creati nell’ambito del suo lavoro come fotografa commerciale, si impongono per la loro carica avanguardistica e per la loro radicalità, e in essi sono già evidenti le caratteristiche che la renderanno estremamente affine ai principi del movimento surrealista a cui si avvicinerà in seguito: l’inquietudine, l’erotismo, l’ironia, il primitivo, l’inconscio, l’inquadramento del reale in una cornice magica e dominata dal mondo dei sogni.


Accanto all’attività come fotografa commerciale si affianca un percorso di ricerca artistica indipendente che si allinea con le istanze più radicali e innovative che in quel periodo si stavano stagliando sulla scena parigina ed europea, sotto l’influenza della profonda crisi economica e sociale deflagrata a partire dal crollo della borsa di Wall Street nel 1929: è il periodo della street photography.
Maar viaggia in giro per l’Europa, da Parigi a Barcellona e Londra, e con la sua Rolleiflex scatta dei ritratti della vita nei quartieri più ai margini delle più grandi metropoli europee: ritrae le persone appartenenti alle fasce sociali più deboli e svantaggiate che abitavano zone periferiche come il quartiere Zones di Parigi in cui la disuguaglianza sociale raggiungeva il suo parossismo. Predilige la raffigurazione del mondo dell’infanzia e della quotidianità che si svolge nelle strade e pone al centro l’elemento tanto comunitario, con la scelta di ambientare numerose fotografie nei mercati popolari (come quelle scattate nel mercato de la Boquerìa a Barcellona), quanto quello individuale, raffigurando soggetti che vivevano la solitudine della marginalità: mendicanti, vagabondi, madri sole con figli piccoli sono le figure che compaiono più frequentemente nelle fotografie di strada di Dora Maar, e che vengono raffigurati attraverso una lente profondamente umana che reca tracce surrealiste, nel loro evidenziare e concretizzare il connubio tra realtà e arte.

Queste tracce si concretizzeranno con l’avvicinamento al movimento surrealista nel 1933, un avvicinamento artistico e politico. Firma il manifesto Appel à la lutte pubblicato da Breton nel febbraio del 1934. La sua partecipazione si fa più attiva nel gruppo Contre-Attaque, creato nel 1935 da Georges Bataille e André Breton. L’originalità del suo sguardo creativo trova la sua massima espressione materiale attraverso diversi espedienti sperimentali come l’utilizzo massiccio della tecnica del fotomontaggio, del collage, la sovrastampa ed espone le sue foto nel 1935 alla “Mostra Surrealista” di Tenerife e, nel 1936, a “Fantastic Art, Dada e Surrealismo” di New York, alla mostra “Objets Surréalistes” alla Galleria Charles Ratton e alla “Mostra Internazionale del Surrealismo” di Londra.

L’essenza di questa figura enigmatica, misteriosa, luogo di contraddizioni, di rivolte e di sfacelo al tempo stesso e del suo lavoro possono essere riassunti, infine, attraverso queste parole di Quentin Bajac, direttore di Jeu de Paume: “C’è sempre un doppio livello nelle sue immagini: c’è qualcosa di seducente che a poco a poco si fa inquietante e l’aspetto inquietante è essenziale nel suo lavoro. Nelle sue foto di strada il mostruoso è anche molto umano. E anche nei fotomontaggi una specie di attrazione e fascinazione per gli eccessi decorativi e le architetture imponenti che spesso sono in contrasto con il carattere inquietante delle azioni dei suoi protagonisti. Sono immagini e comportamenti molto duplici e ambigui“.
Ambiguità è la parola chiave attraverso cui leggere la complessa figura di Dora Maar: una figura enigmatica, misteriosa, luogo di contraddizioni, di rivolte e di sfacelo al tempo stesso, che trova la sua sintesi nella capacità, nonostante tutto, di imporre il proprio sguardo e di trasformarlo in arte.
Sofia Racco
Crediti immagine in evidenza: ritratto di Nusch Eluard, di Dora Maar (1935) http://www.enciclopediadelledonne.it/dora-maar-nusch-eluard/