Credo che in pochi non abbiano notato i cartelloni sparsi per tutta Torino, ormai da mesi, raffiguranti due donne in bianco e nero intente a specchiarsi e sistemarsi: una di loro ci osserva, con sguardo ipnotico, intenso, curioso quasi quanto colei che l’ha fotografata. È il tocco magico di una dei talenti della street photography più straordinari e avvincenti del secolo scorso, ovvero Vivian Maier, che, come titola la mostra a lei dedicata dai Musei Reali, è una Vivian Maier Inedita. D’altronde come non potrebbe esserlo? Un talento che è rimasto celato per tutta la sua esistenza, spolverato tra scatoloni abbandonati e che ha una tale risonanza globale non può non affascinare anche l’occhio più inesperto. Perché quello che fa di Vivian Maier una grande artista è la semplicità di una persona qualunque, con lo sguardo abbastanza curioso per vedere nella banalità, nella quotidianità e nell’ovvio un intero mondo di bellezza.

(Fonte: https://www.vivianmaier.it/)
D’altronde, la storia di Vivian Maier è davvero unica, di quelle che dopo averle ascoltate è impossibile non rimanerne stregati: nata a New York nel 1926 trascorse parte della sua infanzia in Francia. Ritornata in America e stabilitasi a Chicago, Vivian lavorò per la sua intera vita come bambinaia per facoltose famiglie. Nel tempo libero amava cimentarsi nella fotografia, passione che le era stata trasmessa da un’amica di famiglia, e che esprimeva un talento unico e una capacità sorprendente di catturare la realtà che la circondava. Comprò la sua prima fotocamera, una Rolleiflex professionale, coi soldi ricavati dalla vendita di una casa lasciatala in eredità; fotocamera che è possibile ammirare all’interno della mostra, insieme ad altri piccoli oggetti personali.

(Credits: Tom Sebastiano/www.invernodreaming.com)
Vivian amava soprattutto fotografare la gente qualunque per strada, i piccoli attimi rubati alle persone, che fossero tristi, felici, arrabbiate, infastidite o innamorate, che fossero vecchie, giovani, ricche o povere. Amava poi i contrasti di luci ed ombre, e gli autoritratti, firma del suo lavoro artistico. Questi però non erano mai diretti, ma fatti alla propria ombra o attraverso specchi e vetrine, quasi non riuscisse a vedersi come vedeva gli altri, quasi il suo sguardo fosse così intenso e penetrante che guardarsi avrebbe voluto dire conoscere troppo di sé. Un tale tesoro di estetica che non ha mai voluto condividere col mondo, e che rimase chiuso per decenni in innumerevoli scatoloni di carta sigillati in un box in affitto. Ma destino o caso che sia, questa grandissima collezione emerse poco prima della sua morte, avvenuta nel 2009. Fu infatti nel 2007 che John Maloof, intento a cercare del materiale per una sua ricerca sulla città di Chicago, comprò il box di Vivian venduto all’asta, scoprendo una miniera di fotografie e negativi. Nacque così la volontà di ricostruire la vicenda di questa donna, così come di promuovere e condividere il suo lavoro col mondo, restituendole un po’ del successo che si era negata per tutta la vita.
La mostra intende svelare, fra i suoi innumerevoli scatti, i lati più insoliti di ques’artista, attraverso le opere mai esposte al grande pubblico; e in tale intento ci riesce senza scadere nello scontato, ma al contrario, facendoci entrare in quel suo piccolo mondo così gelosamente custodito. E così, scopriamo l’immensa tecnica e le conoscenze di fotografia che possedeva, della pluralità di soggetti a cui era interessata: non solo persone, ma anche luoghi, soprattutto urbani, o semplici oggetti di tutti i giorni, fotografati così da vicino da apparire quasi astratti, di una sorta di fissità solenne. Così come si scopre che, prima ancora della fotografia, Vivian era appassionata di cinematografia: piccoli filmati, talvolta anche di pochi secondi, costellano le sale della mostra, restituendoci appieno brevi attimi di quotidianità ricchi, però, di emozioni, sensazioni e sguardi. Per lei filmare con la Super 8 era il preludio, quasi una sorta di esplorazione del terreno in attesa dell’attimo giusto da fissare per sempre con la fotografia.
La mostra ci illumina anche sui bellissimi viaggi che ha intrapreso, uno in particolare durato 6 mesi in giro per il mondo, che l’ha portata dall’Asia all’Europa, fino alla splendida Torino. E poi uno dei temi più affascinanti: il suo amore per i bambini. Il suo lavoro a contatto diretto con loro la rese molto interessata al mondo infantile, fatto soprattutto di spontaneità, quella che più traspare dalle sue opere. Degli scatti che colpiscono particolarmente, sinceri e teneramente veri. Come Vivian.



Ciò che più affascina la gente della vicenda di Vivian è la sua enigmaticità, l’essere stata una persona comune che nella sua vita quotidiana celava un talento straordinario, inedito, a cui è stato dato il degno ricoscimento solo post-mortem. Il che, in un certo senso, la fa assomigliare poeticamente ai grandi artisti del passato, riconosciuti come tali solo dopo tempo, sebbene qui ad avere frenato il proprio successo sia stata l’artista stessa. D’altronde, nell’era del digitale in cui ognuno di noi ama condividere ciò che crea, forse è difficle pensare a qualcuno così dotato, ma altrettanto restio a renderlo pubblico. Contemplando quelle meravigliose fotografie, però, una domanda nasce spontanea: avrebbe davvero voluto tutto questo? Avrebbe davvero apprezzato che i suoi scatti, così veri, immediati, puri, diventassero di dominio pubblico a tal punto da ispirare nuovi giovani talenti, ad essere esposti nei musei di tutto il mondo e pubblicati in grandi libri fotografici? Dopo tutto, li ha tenuti segreti per tutta la sua vita: la sua era gelosia, timidezza, paura del giudizio che le persone avrebbero potuto avere? O semplice disinteresse per la fama?
Tutte domande che probabilmente non avrebbero avuto risposta, e che, tutto sommato, forse non hanno così importanza. Perchè talvolta la bellezza, anche se celata, non può rimanere nascosta per sempre. Prima o poi verrà alla luce, degna di fare quello per cui è nata: essere goduta e ispirare. Come questa foto del viso di un uomo che spunta da un tubo: per quanto l’oscurità lo circondi, il suo sorriso così caldo spunta luminoso, ci attrae irresistibilmente, strappandoci, chissà, un sorriso.

La mostra sarà visitabile fino al 26 giugno presso le Sale Chiablese dei Musei Reali, dalle ore 10 alle ore 19 dal lunedì al venerdì e dalle 10 alle 20 il sabato e la domenica.
Rachele Gatto