È il 25 maggio 2022, siamo nella scuola elementare Robb Elementary School di Uvalde, Texas. Mentre i bambini e gli insegnanti sono impegnati nelle loro attività scolastiche, gli occhi del mondo sono puntati sulle orribili immagini della guerra nel cuore d’Europa, così come sono a essa dedicati i proclami, i discorsi di pace. Al centro del dibattito mondiale c’è l’invio delle armi a un popolo sovrano, un popolo che deve difendersi dalla minaccia di un aggressore. Subito dopo lo scoppio di una guerra la risposta non si è lasciata attendere, intraprendere un’iniziativa è sembrato inevitabile.
Viene da chiedersi come mai, allo stesso modo, all’ennesima strage legata alla detenzione di armi su suolo americano, non corrisponda altrettanta tempestiva azione. Forse perché in questo caso all’invio di dotazioni belliche andrebbe sostituita una restrizione alla circolazione di armi da fuoco?
Quel 25 maggio a morire nella scuola di Uvalde saranno 19 bambini e due insegnanti, per mano di un diciottenne in possesso di munizioni e un’arma da fuoco automatica. La strage avviene poco dopo un’altra strage, quella di Buffalo, avvenuta il 15 maggio, in cui un adolescente con movente razziale, pesantemente armato e dotato di equipaggiamento protettivo di tipo militare, ha ucciso dieci uomini e una guardia di sicurezza davanti un supermercato.
Queste sono solo due delle tante sanguinose sparatorie che nel tempo hanno colpito, e continuano a colpire, gli USA, l’unico comune denominatore è la facilità con la quale i protagonisti sono venuti in possesso di armi da fuoco. Si stima che negli Stati Uniti il numero di armi possedute, circa 390 milioni, abbia superato il numero della popolazione, circa 329 milioni. Escludendo il settore militare e prendendo in considerazione il settore civile, il popolo americano detiene il 40% delle armi mondiali.
Il culto delle armi è alimentato dalla falsa percezione di sicurezza, dal senso della paura, nonché dal deviato senso di libertà che scade in una visione mascolina fatta di potere e dominio sull’altro. Suona alquanto singolare che mentre i sostenitori della campagna pro-gun rivendicano libertà e il mantenimento dei diritti per i possessori di armi, vengano varate misure restrittive per l’accesso ai servizi di aborto, come in Oklahoma, Alabama. Proprio a voler rimarcare la linea di confine fra il culto patriarcale e la repressione dei diritti delle donne di decidere sul proprio corpo.
Proprio in ragione di queste dicotomie così marcate, non sorprende sapere che a distanza di pochi giorni della strage di Uvalde, sempre in Texas, si è tenuta l’annuale convention della NRA (National Rifle Association), gruppo che rappresenta l’industria delle armi in America.
La questioni delle armi è quindi uno scontro di interessi, una lotta tra minoranze che detengono potere e godono di diritti e una maggioranza che ne subisce gli effetti. Ricordiamo il caso di Tamir Rice, dodicenne di colore che nel 2014 in Ohio venne ucciso con due colpi di pistola dalla polizia di Cleveland, mentre giocava con una pistola giocattolo.
Non spetta alle vittime limitare la propria libertà, monitorare guardinghi ogni situazione, percepire la paura ed essere sopraffatti da situazioni che sfuggono al controllo. Bisogna agire sugli aggressori, limitare l’accesso alle armi, tanto più se sono in grado di esplodere oltre 700 colpi al minuto, tanto più se in America, già nel mese di maggio del 2022, secondo Gun Violence Archive (organizzazione indipendente di raccolta dati), vi sono state 198 stragi.
Manuele Avilloni
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