Anna e la mappa del suo cervello: parliamo di Sclerosi Multipla!

Il grigio del cervello dovrebbe essere uniforme, invece non lo è perché la malattia produce placche, come un pennello che sgocciola, un pennello intriso di vernice bianca che cade giù, a gocce grandi e piccole.

F. Mannocchi, "Bianco è il colore del danno"

Articolata, imprevedibile, autoimmune, demielinizzante e bianca: è la Sclerosi Multipla.

Sono circa 3 milioni le persone che ne fanno esperienza diretta in tutto il mondo. Di esse 130.000 vivono in Italia e Anna è una di loro. La sua testimonianza porta in luce alcuni aspetti di questa patologia che coinvolge corpo e, soprattutto, mente in un quadro frammentato riportato nell’intervista seguente, a una settimana dalla giornata mondiale dedicata alla questione.

L’intervistata Anna Congiu (30 anni)
Crediti immagine: Anna Congiu

Com’è iniziato tutto?

Era il 16 marzo 2019 e mi ricordo perfettamente l’esordio, il momento in cui ho sentito crollarmi tutto addosso. Quel lunedì sera, stavo rincasando da lavoro e, durante il tragitto, mentre guidavo, i miei piedi hanno iniziato a formicolare. Ho subito pensato che si trattasse di stanchezza, imputando al cambio stagionale la colpa di questo strano malessere. Nei giorni successivi, i sintomi non si alleviavano ma continuavano a ingigantirsi: dai piedi, si erano ormai estesi a tutte le gambe. In associazione alla sensazione formicolante, si era presentato inoltre anche quello che viene definito “effetto sella”, caratterizzato da un’andatura goffa, quasi come se stessi procedendo a cavalcioni di un cavallo. Effettivamente, la compressione del bacino a causa dell’insensibilità degli arti inferiori mi induceva a camminare in questa maniera. Mercoledì notte, quando mi sono resa conto che non riuscivo a percepire le gambe toccarsi, il mio ragazzo e io ci siamo diretti verso il pronto soccorso dell’Ospedale Careggi di Firenze, la città in cui abito da anni. Entrambi pensavamo che mi avrebbero dimessa dopo poco, invece non è stato così.

Che cosa ricordi di quegli attimi?

Sono due i momenti che più ricordo del ricovero. Il primo è stato quando, all’ingresso della struttura ospedaliera, non riuscivo a reggermi in piedi autonomamente ma solo appoggiandomi al muro. Rivedo quella scena come se fosse un film di cui ancora non sono pienamente consapevole. Quello può essere considerato il punto di origine di un percorso fatto di indolenzimenti, parestesie e disorientamento. Il secondo è stato quello emotivamente più incisivo, l’istante in cui, dopo l’arrivo dei miei genitori, la neurologa che mi aveva accolta mi disse che avevano trovato “qualcosa” e che sarei stata ricoverata per ulteriori accertamenti.

Come sei arrivata alla diagnosi?

L’esordio della malattia, per me, è stato particolarmente aggressivo. Questo ha rappresentato una grande difficoltà per me e per tutti coloro che mi stavano a fianco, ma è anche stata la mia fortuna perché, grazie a esso, dopo due mesi è arrivata la diagnosi di Sclerosi Multipla. Confrontandomi con le storie di altre persone, può capitare che la diagnosi occupi ben più di due mesi fino a protrarsi addirittura per anni, in alcuni casi. Il campo della ricerca sta avanzando notevolmente, ma l’infinità di sfumature sintomatiche che indicano l’esordio della patologia rendono assai complicato il processo di identificazione della SM.

La presenza della patologia viene attestata in seguito a due test incrociati che non obbligatoriamente vengono eseguiti in seguito a un ricovero, come nel mio caso. La rachicentesi, mirata a prelevare il liquor, il liquido cerebrospinale, effettuato tramite l’inserimento intervertebrale di un ago, e la risonanza magnetica dell’area encefalica, cerebrale ed eventualmente dell’intera colonna vertebrale, a seconda della zona intaccata. Il confronto degli esiti assoda la diagnosi. Inizialmente, infatti, sulla mia cartella clinica risultava la dicitura “malattia demielinizzante”, denotata dalla difficoltà di passaggio degli impulsi elettrici lungo i corpi dei neuroni.

Come hai ricevuto la diagnosi?

Dopo le analisi, la diagnosi è arrivata dritta alle orecchie, ma la mia mente ha necessitato di ulteriore tempo per realizzare che si trattasse veramente di qualcosa di più grave di un semplice male stagionale. Devo ammettere, però, che la dottoressa che allora mi comunicò l’esito e che tuttora segue il mio percorso ha saputo usare parole chiare ma con estrema sensibilità, proponendomi un ventaglio di opzioni curative future. Il processo di accettazione, lo ammetto, è ancora lungo perché dopo tre anni da quell’incontro, ancora non ho del tutto metabolizzato ciò che mi sta accadendo, ma ne sono sicuramente più consapevole. L’aspetto psicologico non va assolutamente sottovalutato!

Se dovessi descrivere la diagnosi in termini emozionali, quali parole useresti?

Paura, incertezza e smarrimento: la commistione di queste tre condizioni emotive ha caratterizzato la mia diagnosi.

Come hai affrontato il periodo successivo?

La mia vita è divisa da una linea di demarcazione che sancisce gli attimi pre e dopo la diagnosi. C’è un’Anna di prima e una di dopo. Ognuno ovviamente la affronta a modo suo, anche perché “Sclerosi Multipla” significa tante persone, con sintomi molto diversi e modi di affrontarli distinti, senza “giusto o sbagliato”. Inizialmente la mia voglia di comprendere di che cosa si trattasse mi ha spesso spinta verso la ricerca e il Web, che può risultare utile, non sempre in questo caso mi ha aiutata. Blog che descrivono orizzonti apocalittici e siti descriventi situazioni esasperate mi avevano estremamente spaventata, quindi non è sempre stato facile. Mi trovavo, in quel preciso momento, seduta su una sedia a rotelle e stavo incanalando tutte le energie nella riabilitazione, per riprendere a muovermi, anche se allo stato attuale ancora non ho riacquistato pienamente le mie abilità motorie. Successivamente, l’attività di ricerca sfrenata si è trasformata in condivisione. Trovare altre persone, soprattutto giovani, con cui scambiare emozioni, sintomi e storie grazie alla partecipazione a un gruppo di supporto dell’AISM mi ha salvata e arricchita. Con gli altri sono riuscita a tracciare nuovamente i confini di una “me” che era stata, a tratti, cancellata.

Terapie: come le hai affrontate?

Durante il primo anno dalla diagnosi, il timore verso la malattia e i farmaci mi ha condotto verso una terapia anticonvenzionale, contro le intimazioni della psicologa dell’ospedale e i consigli spassionati del personale medico-sanitario. Si trattava dell’assunzione di dosi massicce di vitamina D associata a integratori alimentari e a un piano nutrizionale. In questo arco di tempo la SM si è evoluta in termini peggiorativi, come evidenziato dalle analisi, così ho deciso di intraprendere le cure farmacologiche. Mi reputo molto fortunata, perché il Servizio Sanitario italiano mi consente di accedervi senza un corrispettivo in denaro, mentre in molti altri Paesi questo non è possibile. Per di più, anche qui, particolari casistiche non rendono realizzabile l’impiego di terapie, quindi, un po’ per il regresso dello stato di salute, un po’ per senso di gratitudine verso le possibilità che mi erano state proposte, ho iniziato con la Cladribina. Gli esiti poco floridi e una successiva ricaduta, mi hanno proposto l’Ocrelizumab, l’unica strada possibile oltre al primo farmaco per il secondo stadio evolutivo della malattia, quello in cui mi trovo. Al momento queste sono le mie due chances, mentre al primo stadio sono molti i medicinali disponibili, al contrario dell’ultima fase, quella progressiva, nella quale si riducono nettamente. La terapia contiene i sintomi della SM e attualmente non è in grado di fermarla del tutto, anche se bisogna evidenziare che si tratta di prodotti decisamente efficaci, con grandi risultati. Vedremo come reagirà il mio corpo!

Che cosa diresti a chi, come te, sta attraversando questo percorso e a chi sta loro accanto?

A chi sta vicino a persone con SM, io dico semplicemente di esserci. Non cercate di capire appieno la situazione: come per qualsiasi questione, finché non la si sperimenta non la si può afferrare del tutto, ma la si può accogliere e abbracciare nella quotidianità, tra alti e bassi. Questo è il vero appoggio, specialmente quando, all’inizio, è tutto buio. Ricordo bene quando, ricoverata per la prima volta, non vedevo l’ora che arrivasse l’orario delle visite per parlare con qualcuno…

Al contempo, invito chi è direttamente immerso in questo viaggio, in primis, ad apprezzare il bene di chi vi sta intorno che condivide sofferenze e turbamenti con voi e, successivamente, a cercare banalmente di non mollare, ma anche di accettare quei momenti di struggimento interiore che ci inducono a fermarci, perché è nella sosta che si riacquistano le forze per continuare a lottare!

Siate come le piante che, anche nel buio, cercano una via verso la luce, fonte della linfa vitale.

Alessia Congiu

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