Marcell Jacobs, un fulmine al Salone del Libro

Alla XXXIV edizione del Salone internazionale del Libro di Torino gli è stata riservato la sala Oro. E non poteva che essere così. Lamont Marcell Jacobs Jr, l’uomo più veloce del mondo, è stato uno degli ospiti più importanti della manifestazione italiana dell’editoria, in occasione della presentazione della sua autobiografia, “Flash” (Piemme), come anche scritto sulla sua camicia. I fans dell’oro olimpico alle scorse Olimpiadi hanno invaso il padiglione Oval del Salone e lui, con la grande disponibilità che l’ha sempre caratterizzato, ha fatto il possibile per soddisfare tutti i cacciatori di selfie ed autografi. Alla conferenza però non c’è stato posto per tutti: con la sala sold-out (480 posti), molti sono stati costretti a rimanere fuori. Ai microfoni di Marco Ventura, che ha supportato l’atleta nella stesura del libro, e di Giordano Meacci, l’atleta ha raccontato alcuni ricordi della sua vita, dall’infanzia fino alla vittoria dei 100 metri piani a Tokyo, passando per la prima parte della sua carriera da saltatore in lungo e per i suoi molteplici infortuni. Nelle sue parole traspare una grande umiltà, abbinata alla cultura del lavoro per raggiungere il suo sogno: “Cerco di fare capire a mio figlio Jeremy che sono diventato ciò che sono perché quando ero piccolo come lui avevo un sogno e ho fatto di tutto nelle mie possibilità per andare a prenderlo. Non sono un super-eroe, ma mi sono costruito questo dono, perché la vita non regala niente”.

Da dove partire se non dall’incredibile Olimpiade di Tokyo? Il ricordo di quei momenti alberga ancora in tutti noi, perché dal 1 agosto 2021 l’affermazione “l’uomo più veloce del mondo è italiano” non è più stata utopia, ma realtà. La spinta per compiere quell’impresa è arrivata al momento della presentazione degli 8 corridori in pista per contendersi il titolo: “quando eravamo davanti ai blocchi e si sono spente le luci, mi sono ricordato dei Mondiali di Doha di 3 anni prima. Non mi ero qualificato per la finale dei 100 m e rosicavo per il fatto di non esserci”. Ma il momento più difficile, sembra strano a dirsi, non è stata la finale, bensì la semifinale: “non ero riuscito ad adattarmi al fuso orario di Tokyo e sapevo di correre nella semifinale più difficile. L’ho un po’ subita a livello mentale, ma siamo riusciti a portare a casa il record europeo con 9.84 (anche se non me n’ero accorto) e la qualificazione per la finale”. E poi c’è stata la finale, il trionfo vissuto a cuor leggero: “dopo la semifinale il più era stato fatto. Quando mi sono posizionato ai blocchi, avevo la sensazione di vincerla. Ho guardato gli avversari e mi sono chiesto il motivo per cui avrebbero dovuto meritarsi la vittoria più di me. E la finale è andata esattamente nel modo in cui me l’aspettavo”. La tattica? Correre di più. La strategia di Jacobs si basa sul correre 125 metri anziché 100 e, anziché suddividere la gara in 3 segmenti, concepire la gara come un un’unica fase, arrivando lanciati al traguardo: “non a caso a Tokyo abbiamo raggiunto il picco di velocità a 85 m e mai nessuno l’aveva fatto prima”.

Ad accompagnare Marcell in questo incredibile percorso, assume un ruolo importante la figura del suo allenatore Paolo Camossi, in prima fila alla conferenza. “In seguito a un bruttissimo infortunio, ho iniziato a farmi allenare da Paolo nel salto in lungo. Nel 2019 nel Campionato Europeo a Glasgow ho fatto 3 salti nulli e sono uscito nelle qualificazioni da grande favorito. In quel momento avevo tanti problemi fisici: facevo 1 giorno di allenamento e 3 di fisioterapia per far recuperare le ginocchia. Abbiamo interpretato i salti nulli come un segno: dovevamo puntare sulla velocità. Da lì è iniziata questa seconda carriera”. Nel discorso del campione italiano si cela un grande insegnamento: non cedere davanti agli ostacoli, perché come diceva Einstein “nelle difficoltà si nascondono le opportunità”. Jacobs infatti ritiene che “tutte quelle difficoltà sono state degli insegnamenti che mi hanno reso l’uomo più veloce del mondo”.

Jacobs è l’erede di un certo Usain Bolt, che ha riscritto la storia dell’atletica leggera a suon di record. “Mi sarebbe piaciuto gareggiare con lui. L’altro giorno mi ha mandato un messaggio vocale congratulandosi per la mia vittoria e scusandosi di non averlo fatto prima”. L’atleta giamaicano è stato uno dei modelli dell’uomo più veloce del mondo, insieme all’italiano Andrew Howe e soprattutto Carl Lewis: “Avevo un suo poster da piccolo. Mi chiamavano ‘il nuovo figlio del vento’ in suo onore, perché lui faceva velocità e salto in lungo e anche io da piccolo.”

C’è ovviamente spazio per parlare anche della famiglia. Divenuto papà all’età di 19 anni, oggi Marcell Jacobs ha 3 figli, Jeremy, Anthony e Meghan. Gli ultimi due li ha avuti dalla sua attuale compagna Nicole Daza, che diventerà sua moglie il prossimo 22 settembre. Si sa, i padri sono i miti dei figli e spesso attribuiscono al proprio babbo delle doti esagerate. Invece loro possono godere di avere il papà più veloce del mondo. Allora come vive il fatto di avere un papà-campione il primogenito Jeremy? “Sono contento che sia orgoglioso di ciò che faccio, ma cerco di fargli tenere i piedi per terra. Prende sempre i giornali quando gareggio per farlo vedere a tutti”. E Marcell racconta anche la sofferenza dell’abbandono da parte del papà: “Ho sofferto molto. Mi trovavo in difficoltà perché avevo la mamma bianca e io ero mulatto. Quando dovevo disegnare la famiglia a scuola disegnavo solo lei, mentre vedo gli altri che disegnavano anche il loro papà”. Una figura fondamentale per la sua crescita allora è stato il nonno Osvaldo che lo soprannominava la “motoretta umana” perché “correvo tutto il giorno facendo i rumori della moto”. A lui Marcell ha dedicato la medaglia d’oro di Tokyo.

Inutile dire che il tempo della conferenza è volato, come Jacobs nelle gare.

Matteo Revellino

Crediti immagine di copertina: Marcell Jacobs (modificato)

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