Quando parliamo di resistenza, spesso l’immagine che se ne ricava è quella di una serie di persone che attivamente si schierano contro un nemico comune. In realtà, la resistenza può anche essere messa in atto in modo passivo. È importante sottolineare che, con il termine resistenza passiva, non si intende l’assenza di reazione, bensì la messa in atto di quella che in letteratura viene definita la disobbedienza civile non violenta.
Ne si possono trovare svariati esempi nel corso del tempo e in contesti diversi: da Gandhi nella prima metà del Novecento in India, agli schiavi in Malesia negli anni Ottanta, per arrivare a giorni nostri con gli Sdraiati in Cina.
Gandhi in India
Gandhi nacque in India il 2 ottobre del 1869. Dopo aver passato parte della sua vita in Inghilterra e in Sudafrica, diventò il leader del movimento di indipendenza nel suo paese di origine.
In questo contesto, il Mahatma agì secondo il principio del Satyagraha, secondo il quale la forza della verità sta nella non violenza e i gesti di disobbedienza civile non violenta sono i veri mezzi in mano ai più deboli.
Il concetto venne messo in pratica in svariati modi, ad esempio attraverso il digiuno, che adoperò per perseguire obiettivi diversi, tra cui sostenere lo sciopero dei lavoratori; per eliminare la categoria degli intoccabili – che escludeva da molti contesti di vita quotidiana i più poveri, i fuori casta, coloro che facevano i lavori più umilianti –; fermare le violenze degli scontri tra indù e musulmani, e altri ancora. Un ulteriore esempio di protesta non violenta fu quella della Marcia del Sale: Gandhi camminò per 24 giorni insieme ai suoi discepoli – che arrivarono ad essere migliaia – per rivendicare il possesso del sale al popolo indiano in un momento storico in cui il monopolio di questa risorsa apparteneva all’impero britannico; in quell’occasione i protestanti subirono i colpi violenti delle forze dell’ordine senza reagire, in linea con i principi del Satyagraha.
I contadini in Malesia
L’antropologo James Scott nel 1985 pubblicò il suo lavoro di studio sul campo relativo alla vita di 70 famiglie di contadini in Malesia, i quali lavoravano la terra per conto dei proprietari terrieri, con cui il rapporto si riduceva a quello tra dominati e dominanti.
In questo contesto precario e di sfruttamento, i contadini non avevano i mezzi e le forze per poter combattere e ribellarsi apertamente contro i landlords o attuare un’azione politica organizzata a livello di movimento sociale. Di conseguenza, l’unico modo per ribellarsi era quello di mettere in atto forme di resistenza passiva, che Scott definirà infrapolitica. Sono diversi gli esempi di questo tipo di resistenza che vedono tutta una serie di piccole azioni, apparentemente innocue, volte a far vacillare l’equilibrio nel piccolo: discorsi falsi sull’etica che mettevano in cattiva luce i landlords; il saccheggio del riso; lo smantellamento di piccole porzioni di campo; l’appropriazione di una parte del raccolto. Si trattava dunque di forme di resistenza quasi impercettibili, che in realtà facevano la differenza.
Gli Sdraiati in Cina
Arrivando ai giorni nostri, la resistenza passiva risulta essere ancora messa in atto in determinati contesti, come quello cinese. Nel Paese infatti persiste “il metodo” 996, ossia lavorare dalle 9 di mattina alle 9 di sera per 6 giorni alla settimana. Di fronte a questa situazione, la nuova generazione scolarizzata ha deciso di ribellarsi: «Se non puoi sollevarti e rifiuti di inginocchiarti, non puoi far altro che sdraiarti», questa la riflessione di Luo Huazhong, promotore del movimento.
La posizione supina si colloca in netto contrasto con l’idea di attività continua promossa dal governo cinese sin dalle elementari. La prova che si possa parlare di resistenza contro un nemico comune è arrivata dai media dello Stato che hanno definito questa resistenza “vergognosa” in linea con l’idea di lavoro sfiancante a cui ogni cittadino dovrebbe inscriversi.
Rispetto ai due casi antecedenti, la resistenza non-violenta degli Sdraiati è diventata un vero e proprio movimento sociale, anche grazie ai social media attraverso i quali l’obiettivo del movimento si è espanso a macchia d’olio.
Che sia per ragioni strutturali o ideologiche, la scelta della non-violenza è alla base delle resistenze passive, le quali vogliono porsi in contrasto con la violenza della parte che grossolanamente si potrebbe definire dominante. Infatti, come sosteneva Martin Luther King:
“La non-violenza è la risposta alle domande cruciali politiche e morali del nostro tempo: il bisogno per l’uomo di sconfiggere l’oppressione e la violenza senza ricorrere all’oppressione e alla violenza”
Emily Aglì
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