7 artisti contemporanei che forse non conoscevi: parte 2

Sette sono i giorni della settimana. Sette sono le meraviglie del mondo (forse no, ce ne sono molte di più, che non sappiamo nemmeno apprezzare fino in fondo) e sette sono gli artisti che troverete elencati qui sotto, con i loro tarli e le loro fissazioni. Pesci nella formaldeide, opere di stagnola – proprio come quelle palline che il menestrello della classe tirava puntualmente in giro a tutti – e tanto altro.

Questi nomi costituiscono un piccolo sequel (qui la puntata precedente) di quei fantastici dieci artisti che, tra critiche ed elogi, hanno dato vita all’arte che in questi ultimi anni circola per il mondo.

Andreas Gursky: io fotografo… cose

Dopo il riscoperto patriottismo post vittoria degli Europei, non si potrebbe non citare un fotografo che già anni fa aveva fatto della presenza del pallone nelle sue foto una questione di vita.

A parte questo piccolo sipario, all’artista piace catturare l’essenza della vita e la serialità, presumibilmente celata dietro ai cestini di frutta e verdura del supermercato. Per quale motivo? Semplice: analizza la massa, ricerca la banalità e la ripetitività del mondo che ci circonda e indaga il nostro ruolo all’interno della società.

Non si direbbe, ma di lui non troverete più di una decina di quadri all’anno… forse perché nella foto “EM, Arena, Amsterdam I” il pallone veniva sempre sfuocato!

Andreas Gursky, Amsterdam, EM Arena I, 2000 (credits: https://www.andreasgursky.com/en/works/2000/amsterdam-arena)

Thomas Hirschhorn: il feticista della stagnola

A sbizzarrirsi con l’arte del riciclo a mo’ di Art Attack ci aveva già pensato anni prima l’artista Thomas Hirschhorn, cimentandosi in capolavori di cartone e palline di alluminio.

Thomas Hirschhorn, Too Too – Much Much, 2010 (credits: Romain Lopez)

Vista la quantità di stagnola che appare nelle sue opere, si direbbe che da giovane, di panini, ne abbia mangiati a bizzeffe.

Damien Hirst: in fondo al mar…

Forse il nome più conosciuto in questo elenco di artisti, la sua fama lo precede. Tra comicità e ironia, Damien ha fatto la storia dell’arte contemporanea. Perché sì, la storia dell’arte si fa.

Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991 (credits: sohu.com)

Non riuscirebbe a trovare un senso alla sua esistenza senza la collezione di pesciolini e pesci più grossi – uno squalo, ad esempio – nella formaldeide.

Rachel Khedoori: la regina delle atmosfere

Quando si guardano – e vivono – le sue installazioni, sorge il dubbio se ci si trovi in un esclusivo lounge bar newyorkese o davanti a un’opera d’arte.  Le luci e il modo con cui ci gioca è formidabile, anche se a tratti inquietante: l’ambiente tinto di rosa e blu acceso riproduce sensazioni deliranti…però ha gusto.

Rachel Khedoori, Untitled (Blue Room), 1999 (credits: https://www.hauserwirth.com)

Martin Kippenberger: un pasticcio di roba

Probabilmente quando avrete finito di pronunciare il suo cognome sarete già arrivati all’uscita dell’esposizione artistica. Viene definito un genio creativo per le molteplici innovazioni introdotte nel panorama artistico contemporaneo, innovazioni che gli hanno permesso di competere senza esitazioni con Werner Büttner e Albert Oehlen. Attorno alle sue opere aleggia una grande vivacità di colori e di buon umore. Non è tutto: ha ispirato grandi artisti successivi, specialmente nella scultura.

Martin Kippenberger, Design for the Improvement of Backstroke in Rio I & II, 1986 (credits: https://www.saatchigallery.com)

Zoe Leonard: il banale è reale, cemento e mediocrità

Un’artista particolare a modo suo, che rappresenta nei suoi scatti la realtà di tutti i giorni, tenendo conto della sua banalità: sacchetti appesi ad alberi, vetrine di botteghe malandate, cortili deserti.

Mouth Open del 2000 è una sfilata inquietante di vecchie bambole di plastica, recuperate in un negozietto sperduto. Che questo non sia un buio presentimento riguardo un progresso che di credibile ha ben poco?

Zoe Leonard, Mouth Open, 2000 (credits: https://arthur.io)

Michel Majerus: feticismo Patchwork

Se Michel Majerus potesse essere rappresentato con le funzioni di un computer, quasi sicuramente sarebbe “Copia e Incolla“: le sue opere sono un frullato di colori, lettere, foto, fumetti sovrapposti a scritte, scritte sovrapposte a fumetti, frasi, slogan, ancora tinte e strisce di colore. Un vero e proprio mix di elementi da un lato e di sconclusionata energia dall’altro. Sembra, però, che tutto questo suo lavoro abbia un senso, come da alcuni pezzi di stoffa cuciti insieme si ricava una coperta patchwork.

Michel Majerus, overdose, 1997 (credits: https://matthewmarks.com)

Non è detto che a questi – attualmente – diciassette artisti non possano aggiungersene altri in futuro.

Capaci di rimanere a galla con una barchetta di carta rispetto ai ritmi e alle pressioni di quella nave da crociera che è il panorama artistico internazionale, essi ci hanno deliziato con la loro arte, banale o interessante, a seconda delle occasioni. In fondo il presente scorre intorno a elementi di grande mediocrità, e non è forse normale, quindi, trovare ciò che contraddistingue i nostri giorni anche nei significati dell’arte, da sempre specchio della società?

Federica Seni

crediti immagine di copertina: https://matthewmarks.com/artists/michel-majerus

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