Intervista a Alice Scalamandrè

Dall’Italia alla Svezia, la giovane attivista Alice Scalamandrè si racconta brevemente per The Password, in una conversazione di un paio d’ore che spazia dal personale all’università, dai supermercati alla crisi ecologica.

Per prima cosa, scopriamo chi è Alice Scalamandrè: dopo una laurea in ingegneria energetica, si iscrive ad un corso di laurea internazionale in “Energy for Smart Cities” (indubbiamente un corso di laurea innovativo e di crescente importanza), dove ha portato con se l’entusiasmo che sembra contraddistinguerla. Un precedente con una pagina social sui libri, che pochi anni fa si trasforma per diventare a tema vegano.

Tre parole per descrivere cosa pensi?

Alice parte subito con tre “-ismi” che a prima vista hanno non molto a che fare fra di loro – ci spiegherà le connessioni.
Veganismo, Ambientalismo e Femminismo, non necessariamente nell’ordine.

Che cosa significano?

Per prima cosa, ambientalismo e femminismo, per me, sono due lati della stessa medaglia. In entrambi i casi faccio qualcosa relativo alle STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics): ingegneria per l’ambiente, e perché sono donna. Per l’ambiente, è facile da capire: studiare ingegneria è il modo migliore con cui si può pensare di aiutare il Pianeta [lo scrisse all’autore il climatologo James Hanses. Ipse dixit]. Per il femminismo, è un po’ più difficle. Alice si spiega: La rappresentazione femminile nelle scienze dure non è abbastanza! Forse oggi abbiamo esempi di donne ingegnere, ma non c’è ispirazione.

Intendi figure storiche?

Esatto. Più che carenza di donne famose, ci sono donne che hanno dato un enorme contributo alla scienza, senza che vengano ricordate per questo.

Seguono cinque minuti in cui snoccioliamo qualche donna che è rimasta nell’ombra di qualche figura maschile. Ce ne sono tanti.

Come ti trovi nell’ambiente ingegneristico?

L’ingegneria è ancora un ambiente considerato maschile. Io come donna mi trovo molte volte a essere più insicura dei miei colleghi uomini. Come se mi venisse chiesto di essere messa in dubbio. È destabilizzante, ma ogni tanto aiuta. Essere troppo sicuri di sé non sempre è utile. Questo non si applica solo all’ingegneria. Passiamo qualche minuto a commentare su un controverso passaggio di Alessandro Barbero. Non è colpa delle donne! Migliaia di anni di storia hanno portato a questo!

Come influisce questa insicurezza sui tuoi studi?

Ride. Magari penso a qualcosa ma non lo dico ad alta voce, faccio un passo indietro. Ma alla fine ho ragione io! Non sembra che per lei sia un grande problema.

Parliamo del tuo percorso da attivista. Come è iniziato?

È iniziato di punto in bianco, pensando all’ambiente. Qualche mese prima di passare al veganismo, ho iniziato a cercare di ridurre quanta plastica usavo. Per un puro motivo ecologista. Poi ho visto un documentario – e dei video – e ho capito che potevo fare di più. Da una coscienza puramente ecologista, si è aggiunta una certa componente etica.

Quindi è così che sei diventata vegana. Come è stato?

Le solite cose. Parenti terrorizzati, gente che chiede “come farai, morirai di carenze”. Sono ancora qui! Tra parentesi, il 3 dicembre festeggio il mio veg-compleanno.
Questa non la avevo ancora sentita. Mi dimentico di chiedere come si festeggia un veg-compleanno.

Quindi il veganismo resta una faccenda etica?

Esatto. La sofferenza animale, e il loro sfruttamento sono il motivo per cui sono vegana.” Visitando la pagina Instagram di Alice questo diventa chiaro. La sua passione nel spingere questa consapevolezza sono ammirevoli.

Parliamo di ambiente. Cosa pensi della relazione fra la tua scelta e l’ecosistema?

Non è abbastanza noto quanto il consumo di prodotti animali sia di impatto sull’ambiente. L’uso del suolo è impressionante: se tutto il suolo che adesso viene usato per produrre foraggi e per gli allevamenti, l’umanità potrebbe porre fine alla fame nel mondo.

È un classico problema della crisi ambientale. Mangiare animali che mangiano cereali è inefficiente in maniera spettacolare. Il 38% delle terre emerse abitabili sono impiegate per coltivazioni dedicate alla produzione di mangimi per animali da allevamento, seppur il contributo calorico dei prodotti animali sia meno del 20% del totale.

Alice ricorda quanto sia grave il problema della deforestazione: non serve citare la foresta Amazzonica.

E la pesca?

Lasciamo stare!

Tutti dovremmo essere vegani?

Eticamente sì: il trattamento che riserviamo agli animali non è per niente umano, per quanto possa essere spacciato per tale. In termini pratici, mangiare poca carne non è un problema per l’ambiente: l’umanità lo ha sempre fatto. Sono i consumi attuali che sono assolutamente inimmaginabili – ma purtroppo più che reali.

Discutiamo brevemente su quei numeri. Si trovano, su Internet, le tabelle con i dati relativi ai consumi di carne pro capite. Uno statunitense consuma (o meglio, acquista: lo spreco di carne è impressionante) 100 kg di carne per anno. Sono quasi 300 grammi al giorno, per ognuno. Rimaniamo qualche secondo a pensare a questo numero.

Qual è il problema secondo te?

L’umanità ha la memoria corta. Ed è sempre più corta. Pensa a quest’estate: metà del mondo stava andando a fuoco [Alice usa l’evocativo termine “ondate di fuoco”], eppure ce ne siamo già dimenticati. Due settimane, e si era già passati ad altro: siamo costantemente bombardati di informazioni.

E come ti fa sentire tutto questo?

La chiamano ecoanxiety. Ne ho sofferto pure quando sono diventata vegana. Ho guardato troppi video, assorbito troppe informazioni, cruente, violente. Ho dovuto smettere di informarmi per stare bene, un modo per proteggermi dal trauma”. Racconta un aneddoto personale “avevo un abbonamento annuale ad un giornale internazionale. Non ricordo se fosse stato un giornale internazionale o Internazionale. Non ho letto gli ultimi numeri, avevo raggiunto il limite. Seguivo pagine Facebook, guardavo video informativi come ad esempio sulle modalità di uccisione degli animali. Dopo qualche tempo ho capito che sapevo già come stessero le cose, e non mi serviva guardarle di nuovo, mi facevano solo stare male.

A questo punto è iniziata un’interessante discussione originata da un editoriale che avevo letto qualche giorno prima riguardo alla responsabilità individuale nella lotta al cambiamento climatico e su come questa possa ritardare eventuali azioni collettive.

Perché sentiamo una colpa individuale per quello che sta succedendo?

Anche nella vita quotidiana mi prendo colpe che non ho. In termini più vaghi, di quello che sta succedendo adesso, non è corretto che il singolo si senta in colpa. Il problema è la scelta. Il singolo deve poter scegliere come comportarsi, ma la scelta dovrebbe essere superflua. Pensa al trasporto pubblico: adesso la scelta c’è, ma è spesso più comodo prendere la macchina. Quanto sarebbe vantaggioso per tutti se prendere i mezzi pubblici fosse più facile? La scelta sarebbe ovvia.

Cosa pensi dei movimenti giovanili?

È un lato positivo! Il cambiamento che arriva in quel modo è lento, ma procede inesorabile fino a quando non raggiunge la massa critica, una consapevolezza diffusa. Ci vuole tempo, e non ne abbiamo molto: è estenuante fare le cose dal basso.
Alice racconta un aneddoto sul tema.
Faccio parte del committee  sulla sostenibilità del mio chapter. In un meeting un mio compagno ha avuto la folle idea di proporre che l’università dovrebbe imporre la mobilità dei suoi studenti internazionali in modo sostenibile. Ma chi ha il tempo? Attivisti a tempo pieno possono farlo, è parte della loro immagine, ma noi?

Qualche domanda a caso. Mi frullava in mente:

Cosa pensi della carne cresciuta in laboratorio?

Personalmente non la mangerei, anche dopo solo quattro mesi senza carne, non mi piaceva il gusto. In ogni caso, se produrla non causasse male a nessuno, perché no? Se si vuole avere quel sapore in bocca, senza animali coinvolti… sarebbe un bene!

Altri sforzi?

Sono zero waste – o almeno ci provo! Il passaggio a Stoccolma ha un po’ influito, le cose sono più difficili! Il futuro sono supermercati sfusi, ma che escano dalla nicchia. Il problema è ovviamente il prezzo: al momento resta una scelta per pochi, e si basa sulla fidelizzazione del cliente. Prima o poi arriverà il momento in cui sarà possibile fare la spesa senza nemmeno vedere della plastica. Ma finché abbiamo l’arancia sbucciata e conservata in vaschetta… c’è ancora molta strada da fare!

Qualche storia?

Faccio la spesa con i miei sacchetti, mettendo la frutta e verdura tutta insieme. Ho visto persone sconvolte. Ma molto spesso in cassa (Posso dirlo? Soprattutto donne) sono stati molto contenti di vederlo.
Un’altra volta, in Italia ho dovuto rinunciare ad un gelato (vegano) perché non volevano metterlo nel mio contenitore. Seguono surreali storie di poca flessibilità.
Chiaramente non le è andata giù. 

Se potessi fare qualcosa per questa crisi, senza mettere in gioco impossibili soluzioni, cosa faresti?

Cercherei di muovere le masse, far crescere le organizzazioni. Insieme bisogna sconfiggere gli interessi economici e sconvolgere il sistema capitalistico
Questo suona comunista!

Credi che ci sia speranza?

Voglio che ci sia.

Davide Borchia

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