È di estrema difficoltà per tutti gli addetti ai lavori – sociologi, ricercatori, giuristi – fornire una definizione delineante di famiglia. La complessità del compito sta nel voler tradurre in poche sillabe un concetto assai mutevole che, viaggiando da sempre in parallelo con lo svilupparsi delle società, ne riflette la tendenza in un certo periodo storico o in un determinato luogo.
Ispirato al codice napoleonico ma ad esso non del tutto fedele, il codice Pisanelli del 1865, in quanto primo codice civile dell’Italia unita, dovette rispecchiare tutti gli ideali di laicità, libertà ed uguaglianza ai quali dichiarava di ispirarsi. Il codice fu il risultato di un compromesso nato da non poche controversie, tra chi recriminava il mantenimento dell’ideale tradizionale della famiglia e chi, invece, rivedeva nel nuovo corpus legislativo un’occasione di apertura — soprattutto in riferimento alla situazione di svantaggio della donna, che aveva caratterizzato la norma legislativa fino a quel momento.
Ma a segnare il definitivo tramonto della famiglia basata su oneri asimmetrici, furono la legge sul divorzio (1970) e la riforma del diritto di famiglia (1975): si sancì una vera e propria svolta paritaria, precisando che “con il matrimonio si acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri”. L’uguaglianza difesa dalla normativa citata comprendeva anche il rapporto di filiazione, assicurando pari trattamento e riconoscimento ai figli nati fuori o in costanza di matrimonio. Il cambiamento dell’ideale familiare ha ormai avuto luogo, sdoganato dalle rigidità ideologiche del passato: la donna ora lavora nel tentativo di lasciarsi alle spalle il ruolo del capofamiglia maschio.
Definita dalla nostra Costituzione società naturale, la famiglia recupera il suo carattere giusnaturalistico, a conferma del suo essere “naturale”, preesistente a qualsiasi Stato o normativa, la quale pertanto dovrà sempre “rincorrerla” nelle sue mutevoli caratteristiche.
Ad amplificare lo stemperamento delle credenze degli anni precedenti, l’art. 29 Cost. sull’uguaglianza tra i coniugi ha dato il via ad un crollo del valore di “famiglia tradizionale” conservativamente orientata, rispecchiando il mutamento sociale e attribuendogli valenza giuridica. La famiglia di oggi è una famiglia sicuramente più libera di scegliere “come essere” lontano da preconcetti ormai antiquati.
A dimostrazione dell’impossibilità di fissare un modello uniforme di famiglia, a livello giuridico questa viene notoriamente menzionata dall’art. 2 della Costituzione come principale formazione sociale nella quale l’uomo svolge la sua personalità, e dall’art. 29 che si limita a definirla come “società naturale fondata sul matrimonio”, dimostrando un’inerzia legislativa di non poco conto e lasciando incontemplate tipologie di famiglie differenti da quella nucleare, cui fa chiaramente riferimento.
Il forte interesse da parte di antropologi e storici rispetto all’argomento è dato dal fatto che la società italiana è al momento caratterizzata da un fenomeno di pluralizzazione delle famiglie: negli ultimi decenni l’Italia è stata investita da una grande crescita demografica. Tale crescita farebbe pensare ad un conseguente aumento delle suddette «famiglie nucleari», che invece si vedono drasticamente diminuite, a causa della diretta proporzionalità di diminuzione dei matrimoni, nonché delle nascite.
L’Italia e così anche la propria legislazione, deve quindi far fronte alle cd. nuove famiglie, frutto dello sviluppo di nuove coscienze e valori sociali: le famiglie unipersonali, le coppie non coniugate, le famiglie ricostituite e ancora le famiglie miste. È proprio a fronte dell’emergere di queste novità che la legislazione si sta muovendo in direzione del riconoscimento di tutele e diritti anche per coppie di fatto, omosessuali e non, conviventi ed uniti civilmente.
A sottolineare quanto il definire il concetto di “famiglia” non sia un’operazione fine a se stessa, si può osservare la normativa europea riguardo il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e il ricongiungimento familiare.
La normativa UE include, infatti, anche una menzione ai potenziali “altri familiari” al di fuori delle categorie sopra previste: vi è un obbligo in capo agli Stati membri di agevolare l’ingresso e il soggiorno di familiari che si trovino “a carico” del cittadino UE o che gravi motivi di salute impongano che il cittadino UE li assista personalmente.
In base alla tendenza giurisprudenziale, la locuzione “a carico” indica una “situazione di fatto caratterizzata dalla circostanza che il sostegno materiale del familiare è garantito dal cittadino comunitario o dal coniuge/partner”. Pertanto si tratta di una fattispecie che dev’essere esaminata e valutata caso per caso, dipendente dalla situazione particolare del familiare – più che, a questo punto, dalla sua qualifica.
Si può notare come l’Unione tenga le redini della regolamentazione, disponendo condizioni entro le quali lo Stato – pur sempre titolare della competenza sull’immigrazione – deve legiferare: in questo caso infatti, la normativa UE tutela la situazione di vulnerabilità de “gli altri familiari”, prevedendo un approfondimento delle situazioni specifiche personali in itinere alla valutazione della domanda di ingresso e soggiorno.
Saranno quindi le “categorie” alle quali la legislazione non fa esplicito riferimento ad essere comprese tra gli “altri familiari”? È chiaro che quand’anche ne risultino far parte, sarà conseguenza di decisione in sede giuridica (quindi merito dell’azione di chi sentenzia), perché ad oggi rimangono molte le falle nel corpus di leggi che dovrebbero disciplinare la vastissima casistica in materia di familiari legittimati al ricongiungimento familiare, così come son molte le sentenze che recitano decisioni talvolta diametralmente opposte, in fattispecie quasi sovrapponibili.
Marta Savoretto