L’Artico è un’area del mondo considerata da molt una regione lontana, isolata e, ancora adesso, se entra nel dibattito pubblico è per motivi legati al clima. Osservatorio Artico è un progetto nato nel 2018 che si pone l’obiettivo di espandere la consapevolezza dell’importanza di Artico e Polo Nord in Italia. The Password ha intervistato il fondatore Leonardo Parigi, giornalista pubblicista laureato in scienze politiche ed economia internazionale, così da poter capire più attentamente il lavoro che svolge con Osservatorio Artico e sentire qualche sua personale riflessione riguardo alla sfida energetica che ci si prospetta davanti.
Leonardo, come è nato Osservatorio Artico e come lavora?
Il Progetto è nato nel 2018 con la speranza di dare visibilità a un tema spesso messo da parte in Italia. Abbiamo cominciato ad operare attivamente nel 2019 e adesso collaboriamo con vari partner, tra cui la Marina Militare. Osservatorio Artico ha al momento 14 collaboratori fissi, ognuno dei quali specializzato in un aspetto preciso, più vari partner quali Osservatorio Russia e l’Istituto Idrografico di Genova. Con la Marina Militare, Osservatorio Artico è partner nella missione “High North”, che prevede una spedizione all’anno nell’Artico, è nata nel 2018 e vede l’equipaggio della Marina a bordo della nave Alliance della NATO svolgere ricerca nel campo della geofisica, geologia marina e oceanografia.
Quali esperienze professionali o di vita ti hanno reso consapevole della centralità del tema nell’attuale contesto politico e ambientale?
L’idea si è manifestata durante l’Erasmus a Copenaghen nel 2011, dove mi sono reso conto della centralità nel dibattito nel Paese e l’alto livello di studio della regione, non solo per l’aspetto strettamente ambientale, ma anche per tutto ciò che ruota attorno ai Paesi e gli interessi che si incrociano lì. L’obiettivo di Osservatorio Artico è, infatti, diffondere la conoscenza della regione attraverso tutti gli aspetti che contraddistinguono un territorio geografico: culturale, linguistico, politico ed economico, oltre che ambientale.
La Danimarca, pur essendo lontana dal mar Artico, ha un grande interesse in esso grazie al Regno di Danimarca che comprende la Groenlandia. Un esempio dell’importanza data questa vicinanza è espresso bene dalla risposta datami un giorno da un generale dell’esercito danese alla mia richiesta di come avrebbe reagito la Danimarca se l’isola fosse diventata autonoma: “La riprenderemmo anche con le armi”. È un luogo centrale dell’Artico che assieme al tema dello scioglimento dei ghiacci, resta tuttora contornato da dubbi: per esempio, nessuno sa se l’isola più grande al mondo sia, effettivamente, un’isola o un arcipelago sotto la calotta, la parte visibile.
Al contrario del luogo in cui mi trovavo, sapevo che in Italia in quegli anni il tema era poco considerato, a livello di grande pubblico; si sapeva poco e niente a riguardo nel 2010. Essendomi interessato al tema ho cercato di inserirlo successivamente nel mio lavoro di giornalista, dove però non avevo abbastanza spazio se non per ciò che era relativo il commercio marittimo, a causa della presenza del porto nella città in cui mi trovavo, Genova. Così ho infine realizzato un progetto dedicato.
Perché è importante parlarne per l’Italia?
L’Italia, anche se non sembra, partecipa attivamente ed ha un ruolo nel campo. Dal 2013 è membro osservatore del Consiglio Artico – organizzazione intergovernativa nata per promuovere la cooperazione tra gli Stati e le popolazioni dell’Artico sui temi dello sviluppo sostenibile e della tutela ambientale. Per riflettere e creare una sede di interazione tra gli attori (anche industriali) italiani con interesse nella regione è stato creato il Tavolo Artico, che coinvolge Ministeri ed imprese, presso il Ministero degli Esteri. Il nostro Paese ha un grande impegno attivo nel campo della ricerca scientifica fin dalle prime esplorazioni passate: prima, nel 1899, il Duca degli Abruzzi e poi, nel 1926, Umberto Nobile, che insieme al norvegese Amundsen e allo statunitense Ellsworth giunse per la prima volta nei pressi del Polo Nord geografico.
L’Italia ha una storia di cooperazione con la Norvegia in questo campo, ha un centro nelle isole Svalbard di studi scientifici, idrologici, glaciali, oceanologici. Sicuramente vorrebbe essere più attiva e avere un ruolo maggiore nel campo economico e politico; vorrebbe dire essere innanzitutto partecipi in un campo di azione nuovo e in cui gli interessi e del quale la centralità sta crescendo man mano. Vi è un interesse a mantenere alta l’osservazione sull’area a causa del ruolo commerciale che i nostri porti (Genova, Savona, Spezia e Gioia Tauro) hanno.
A proposito di Norvegia, Dal dibattito, almeno per come è apparso sui media italiani, riguardante le elezioni avvenute a settembre, la sfida appariva netta tra la possibilità di diminuire lo sfruttamento del petrolio e il mantenimento della situazione attuale. Col nuovo governo abbiamo visto che non c’è una sostanziale differenza rispetto alla precedente coalizione riguardo a questo tema. Come vedi, nel futuro, l’atteggiamento del Paese a riguardo?
La Norvegia finirebbe domani il suo impegno nel campo del petrolio solo se si volesse suicidare. Un paese con un fondo sovrano così ricco e che lo è grazie all’esportazione di petrolio e gas naturale, non può chiudere tutto in breve tempo. È giusto ricercare altri metodi e cercare di andare verso gli ambiziosi obiettivi posti dal Green Deal europeo (ridurre le emissioni da combustibili fossili di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e giungere a zero impatto climatico entro il 2050) ma, così come gli altri paesi con un piano di transizione ecologica in atto o in programma, questo non può che avvenire sulla scala del lungo periodo. Al momento serve, e la Norvegia sa che se non sarà lei sarà qualche altro Paese a sfruttare le risorse ed ottenerne la ricchezza.
Come pensi si possano conciliare le pressioni dei cittadini maggiormente consapevoli del tema ambientale e che chiedono soluzioni e azioni rapide e i tempi non brevi previsti per una transizione green?
Bisogna pensare anche a come si vuole vivere: si può porre fine all’estrazione ed esportazione di petrolio e gas naturale, ma poi lo stile di vita che abbiamo oggi non ci sarebbe più, non ci sarebbe rifornimento per gli aerei e navi ad esempio. Le soluzioni sono due: o si fa scegliere in modo molto sincero ed immediato alla popolazione tra sì o no al petrolio, o, in modo più complesso, si fa in modo che esista un’educazione diffusa della cittadinanza riguardo al tema per poi far scegliere con maggior consapevolezza e la conoscenza che, ad oggi, con la tecnologia e la ricerca del momento sarebbe impossibile sostenere lo standard di vita attuale senza queste tecnologie. Si vedrà in futuro con lo sviluppo di diverse tecnologie più green. Non può cambiare da oggi a domani.
Teniamo gli occhi aperti sulle mosse dei prossimi anni allora, grazie per il tempo che ci hai riservato.
Anna Franzutti