L’inaccessibilità della cultura

Quando ad agosto è stato introdotto il green pass per i luoghi della cultura – musei, teatri e cinema -c’è stato chi (anche fra gli addetti ai lavori) ha prontamente tuonato contro questo strumento, definendolo discriminatorio e una minaccia all’accessibilità di questi luoghi. Nel dibattito pubblico è finalmente entrato il tema dell’accessibilità, anche se non esattamente nei modi e nei contesti nei quali si sperava. È da molto tempo, infatti, che attivistə e operatorə culturali si interrogano sull’effettiva inclusività e accessibilità di musei & co., e questa estate abbiamo potuto constatare quanto questo problema sia radicato, se non proprio ignorato, ma grazie all’attivismo social inizia ad avere la giusta eco.

Ci siamo arrabbiatə insieme a Sofia Righetti (modella, atleta ed attivista) per il trattamento riservatole dal Giardino dei Tarocchi e ci siamo stupitə insieme ad Anita Pallara (presidente dell’associazione nazionale FamiglieSMA) per l’impreparazione del Chiostro del Bramante di fronte alla sua carrozzina elettrica. In entrambi i casi anche la gestione comunicativa è stata pessima, dimostrando una totale incapacità di prendersi le dovute responsabilità per le proprie mancanze.

Ma cosa può fare “il pubblico”, oltre ad indignarsi? Osservare con più attenzione sarebbe un primo passo, rendersi conto delle limitazioni e degli ostacoli che potrebbe avere qualcuno di fronte a una semplice visita al museo. Ci sono ascensori? Quanto sono grandi? Le rampe sono adeguate? Quanto ne sappiamo di accessibilità? Le risposte non sono per nulla scontate e se c’è qualcosa che i social stanno dimostrando è la possibilità di renderci attivə, se non nella ricerca di una soluzione, nella consapevolezza di un problema.

Delle linee guida ci sarebbero: i musei statali, oltre a dover garantire l’accesso gratuito alle persone disabili, e all’eventuale accompagnatore, dovrebbero adeguarsi all’articolo 30 della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità. I fatti però raccontano una realtà in perenne ritardo. A malapena il 53% dei musei italiani risulta «adeguatamente attrezzato», ma con normative vecchie decenni c’è da chiedersi cosa si intenda con “adeguatamente”. Inoltre, secondo quanto racconta Roberto Vitali (co-fondatore di Village for All) ad Artribune, «le misure di adattamento sono viste più come obblighi che come possibilità». «Il problema, prosegue Vitali, sarebbe proprio culturale».

Secondo l’Istat, in Italia, al 2019, si contano circa 3 milioni e 150 mila cittadini disabili, («che soffrono a causa di problemi di salute, di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali»), ovvero oltre il 5% della popolazione totale. Questi dati non includono chi si ritrova temporaneamente limitatə e chi invece, per lentezze burocratiche, non vede ancora riconosciuta la propria disabilità. Accettare che oltre tre milioni di persone vengano, anche solo parzialmente, escluse dalla vita culturale (ma anche dalla normale mobilità cittadina, dal turismo, ecc.) per impreparazione e obsolescenza del sistema non è degno di un Paese democratico, tantomeno di un Paese che non perde occasione di far vanto dei propri beni culturali.

Daniela Carrabs

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