Il linguaggio verbale è ciò che ci rende umani. Nessun animale, per quanto intelligente, riesce ad utilizzare uno strumento così sofisticato, che molto spesso diamo per scontato.
Cosa cambierebbe però se chiamassimo la stessa cosa in un modo diverso? Sarebbe veramente lo stesso? Su questo argomento si è speculato a lungo nel corso dei secoli, dai Greci agli Scolastici Medievali, passando per Umberto Eco e Shakespeare, che nella celebre tragedia di Romeo e Giulietta si chiede: “In fondo, che cos’è un nome? Quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente”.
Più recentemente, la teoria dei giochi linguistici di Wittgenstein afferma che le parole, attraverso l’uso che ne facciamo, contribuiscono a ridefinire e trasformare la realtà e la nostra esperienza di essa. Le parole sono dunque semplicemente etichette, o sono in grado di dare forma al mondo per come lo viviamo?
In un interessantissimo TEDx online, Lera Boroditsky, psicologa cognitiva e accademica, parla di come il linguaggio sia in grado di modellare quello a cui pensiamo e la nostra stessa percezione del mondo, a partire dalla concezione dello spazio e del tempo.
Ci sono infatti aborigeni che basano la loro lingua sui punti cardinali e dunque su un’esperienza fisica del mondo. Allo stesso modo, il fatto che in quanto occidentali percepiamo lo scorrere del tempo dal passato al futuro come un movimento da sinistra verso destra, dipenderebbe dalla lingua e in particolare dall’orientamento della nostra scrittura. Secondo la studiosa, le lingue guidano anche i ragionamenti rispetto agli eventi; ecco che allora, persone che parlano linguaggi diversi, faranno attenzione a cose diverse a seconda di quello che la loro lingua richiede nella descrizione del mondo.
Una delle funzioni principali della lingua è infatti proprio quella di descrivere la realtà che ci circonda e, così come questa è in perenne cambiamento, anche la lingua è viva e in costante evoluzione, plasmata dai parlanti stessi per mezzo di adattamenti continui.
Il glossario della pandemia
Le parole che usiamo sono in grado di riflettere la situazione che si sta vivendo in maniera emblematica, come se fossero una “fotografia verbale” dello zeitgest, lo spirito del tempo.
A dimostrazione di ciò, la situazione eccezionale in cui ci siamo ritrovati nell’ultimo anno ha evidenziato quanto sia importante la lingua e la comunicazione in senso più ampio. Lo mostra chiaramente anche il Nuovo Devoto-Oli che nell’edizione 2021 ha un ricco aggiornamento di 600 tra neologismi e nuovi significati, con l’introduzione di molti termini legati alla pandemia e all’emergenza sanitaria. Ecco dunque la comparsa di parole come Covid-19, lockdown, distanziamento sociale, droplet, tamponare…
La pandemia ci ha anche costretti a rivisitare appellativi che davamo per scontati e che si sono ritrovati, loro malgrado, al centro di associazioni inaspettate. È il caso ad esempio della birra Corona che, secondo un recente sondaggio, un americano su tre si è dichiarato determinato a non comprare più. Questo caso rivela il potere evocativo dei nomi e l’instabilità delle associazioni che si portano dietro.
Siamo le parole che scegliamo
Ogni parola che usiamo contribuisce a dire agli altri chi siamo; è un vero e proprio atto di identità e per questo sceglierle bene è importante.
In un’interessante conferenza Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, afferma la necessità di “riprendersi il potere delle parole giuste“. Per farlo, secondo la Gheno è necessario coltivare il dubbio; in quest’era di informazione continua c’è un’illusione di conoscenza, ma le troppe certezze possono essere deleterie. A suo avviso è necessario allora riflettere, pensare a cosa si vuole davvero dire e al modo migliore per farlo e, tutt’al più, saper scegliere il silenzio quando non si è competenti.
Per dirla alla Nanni Moretti, in molti ricorderanno la celebre scena tratta dal film “Palombella Rossa”, in cui il protagonista schiaffeggia la giornalista per l’uso approssimativo di alcune forme linguistiche, urlandole: «Le parole sono importanti!». Dopo aggiungerà «Chi parla male, pensa male. E vive male».
Rebecca Boazzo