Spesso, navigando in rete o leggendo articoli riguardanti le relazioni internazionali è facile trovare gli Stati Uniti con il loro hard power (“potere materiale”) contrapposti alla Repubblica Popolare Cinese, la regina, invece, del soft power (“capacità di influenzare gli altri stati senza usare alcun incentivo”). Guardando al soft power, è centrale l’aspetto discorsivo e la RPC aveva compreso già dagli anni ’90 come, per incidere nelle dinamiche mondiali, fosse necessario lavorare proprio su questo “potere discorsivo”, specie per rendere certi temi centrali nei dibattiti e nei negoziati internazionali. Come affrontato da Eleonora Bolzan nel suo articolo “Il soft power si esibisce anche alle Olimpiadi”, i Giochi Olimpici sono un’ottima piattaforma su cui lo stato ospitante può mostrarsi al mondo, e non solo. Infatti, una volta scelto come sede per le Olimpiadi, questo vede un aumento degli investimenti sul piano interno, mentre, a livello internazionale ha modo di mostrare la propria potenza sia sul piano politico che su quello economico.
La Cina come attore internazionale
Sin dagli anni ‘90, la Repubblica Popolare Cinese aveva iniziato a svilupparsi fortemente a livello economico, occupando uno spazio sempre più crescente sul piano internazionale. L’opportunità di ospitare le Olimpiadi avrebbe, in qualche modo, convalidato il suo ruolo da attore protagonista a livello mondiale. Già nel 1993, in occasione del Congresso del CIO per l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 2000, Pechino sembrava essere la favorita. Venne, però, sconfitta da Sidney, dove appunto si svolsero le Olimpiadi del 2000. La Repubblica Popolare Cinese dovrà aspettare fino all’estate del 2001 per vedere la città di Beijing (Pechino) scelta come sede dei Giochi Olimpici del 2008.

Nonostante tutte le polemiche scatenatesi per scelta di Beijing come città ospite per quell’edizione, tra cui la questione inerente ai diritti umani (ricordiamo, ad esempio, i vari tentativi di bloccare la corsa della torcia Olimpica da parte di attivisti per il Tibet e Hong Kong) e la tutela ambientale, le Olimpiadi di Pechino 2008 sono state un fatto molto importante per la Repubblica Popolare Cinese. Sono stati davvero molti i miglioramenti che hanno investito la città di Pechino, tra cui la costruzione del terminal aeroportuale più grande del mondo, oltre a quella di nuove linee di trasporto pubblico e strade. Anche su questo fronte non sono, però, mancate le critiche: molte associazioni umanitarie hanno denunciato la violenza degli espropri messi in atto per portare avanti la modernizzazione della città e costruire gli impianti sportivi per i Giochi Olimpici. L’articolo non vuole soffermarsi sulle polemiche che hanno accompagnato, o preceduto, i Giochi Olimpici di Beijing 2008, ma vuole piuttosto focalizzarsi sulla cerimonia di apertura delle Olimpiadi, momento in cui la Cina ha, più o meno direttamente, affermato il suo ruolo come potenza mondiale.
La cerimonia di apertura di Beijing 2008
Il National Stadium di Beijing, anche chiamato “Bird’s Nest” (“Nido di uccello”) per la sua forma particolare, ha ospitato la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Beijing, l’8 agosto 2008 alle 8.08 di sera per il fuso orario di Beijing. Questa non è affatto una coincidenza: in cinese il numero otto ha una pronuncia simile alla parola “ricchezza”, ed è tradizionalmente ritenuto un numero molto fortunato. Il regista della cerimonia è stato niente di meno che Zhang Yimou, il regista del film “Lanterne Rosse”, vincitore del Leone d’Argento, lo speciale premio per la regia, alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1991.
Tutta la cerimonia di apertura si è fondata sulla cultura millenaria cinese, specie sui valori confuciani. Ciò rappresenta un punto molto importante, poiché mostra come la Cina si presenti al mondo sì come potenza globale, ma senza staccarsi da quella che è la sua tradizione, la continuità con il suo passato, e proponendo, più o meno indirettamente, un’alternativa all’ordine mondiale vigente. La Cina propone “armonia” (hé, 和), ma non come assenza di conflitti, piuttosto come accettazione generale del pluralismo come fatto costitutivo della vita internazionale. Il termine “armonia” è legato al confucianesimo: secondo Confucio, infatti, solo un sovrano illuminato può essere in grado di garantire l’armonia dell’universo. Questo carattere appare nel corso della cerimonia di apertura, precisamente nel momento in cui viene esaltata la stampa a caratteri mobili, una delle quattro grandi invenzioni (sì dà fāmíng, 四大发明) dell’antichità cinese, insieme alla carta, alla bussola e alla polvere da sparo, anch’esse presenti durante la cerimonia. Con degli effetti scenici incredibili, ad un certo punto è proprio il carattere “armonia” (hé, 和) a comparire di fronte agli occhi degli spettatori.
Questo carattere è matrice di termini che possono avere significati differenti: uno di questi è “和谐” (héxié, “armonia”), lo stesso termine con cui Hu Jintao, predecessore di Xi Jinping, indicava la “società armoniosa” (héxié shèhuì, 和谐社会), esteso poi a “mondo armonioso” (héxié shìjiè和谐世界). Compare anche in “和而不同” (hé ér bùtóng “armonia della pluralità irriducibile”), ovvero l’armonia non intesa come assenza di conflitto, ma con il senso di armonia nella pluralità, come coesistenza pacifica di norme e modelli differenti, lanciando un chiaro messaggio politico, per chi è in grado di coglierlo.
L’immagine che ne emerge è quella di un mondo sì unito, ma che lascia spazio alla diversità: in questo mondo immaginato dalla Cina, è la stessa società internazionale a rappresentare la più alta unità politica, mentre i singoli Stati vanno perdendo importanza. Il tutto è in contrasto con la visione westfaliana di stampo occidentale che, invece, vede lo Stato come unità primaria dell’ordine politico.
Malvina Montini
Crediti foto di copertina: Fuochi d’artificio su Pechino (Credits © : Giorgio Perottino/ LaPresse)