Tutto inizia con la storia di una donna – Francesca – che scopre l’esistenza della tomba del suo feto, dopo aver superato un’ interruzione di gravidanza eseguita per motivi terapeutici e senza averne richiesta la sepoltura. Dall’episodio accaduto alla donna romana, attraverso i social media si è alzato un’ enorme polverone mediatico, scoprendo un gravissimo atto di violenza e sopruso nei confronti delle donne. All’interno del cimitero Flaminio a Roma, precisamente nel campo 108 esiste un apposito “cimitero dei feti”, il “Giardino degli angeli”.
Cos’è il Giardino degli angeli
L’area in questione è stata aperta nel 2012, con un apposito campo destinato alla sepoltura dei feti che non hanno ricevuto delle onoranze funebri, perché sepolti su richiesta dell’Asl. I “prodotti del concepimento” vengono così sepolti insieme ad una croce ed una lapide su cui è riportato “il nome della madre o il numero di registrazione, se richiesto da familiari”. Come riporta il documento, per immettere il testo sulla targa serve un’esplicita conferma, condizione che a quanto pare non viene rispettata. Oltre all’iniziale mancanza di rispetto e comprensione per la scelta che solo alla donna in questione deve spettare, c’è da annotare anche una vera e propria violazione della privacy, disciplinata dal regolamento europeo sul trattamento dei dati personali sensibili.
Francesca, una delle vittime di questa violenza, racconta come alla fine della procedura ospedaliera avesse semplicemente ricevuto un documento dall’ufficio del cimitero riportante i dati della salma con la posizione della tomba, il tutto senza consenso da parte della donna. A commentare la vicenda, risalente ad ottobre dello scorso anno, anche l’ex ministra per la solidarietà sociale Livia Turco che fa notare a tutti un importante particolare: “in Italia non puoi trasmettere il nome della madre appena il bambino nasce, però viene esposto sulla croce del feto, pubblicamente”.
Casi come questo non sono isolati purtroppo. Sono tante le donne che negli ultimi anni hanno raccontato di essersi ritrovate il loro nome su una lapide senza aver dato alcun consenso.
Per quanto riguarda il caso di Roma, si evince dal documento citato prima che è una azienda municipalizzata, la Ama-Cimiteri Capitolini, ad occuparsi della sepoltura dei feti. La stessa azienda, dopo che le proteste hanno iniziato a farsi sentire, ha dichiarato di non avere colpa in merito, affermando di aver agito secondo le norme vigenti. Sulla questione del nome della donna (leggibile quindi come quello di un assassino a tutti gli effetti) Ama fa sapere come loro agiscano secondo tradizione, usando il simbolo della croce e il nome riportato in modo automatico se non vi sono altre indicazioni. Sono state tante le donne ad aver protestato con forza, dopo aver scoperto il proprio nome sulla tomba di un figlio che non hanno voluto, accompagnato da un simbolo che non per forza le rappresenta.
Cosa dice la legge sulla sepoltura dei feti
Per fare chiarezza, è necessario spiegare come funzionino le norme che rendono possibile la tumulazione dei feti. La loro sepoltura è consentita in Italia dal 1990 dall’articolo 7 del decreto della Repubblica numero 285. Il decreto distingue tra nati morti, feti (per cui si stabilisce obbligo di sepoltura) e prodotti del concepimento, per i quali invece la sepoltura è solo su richiesta. Almeno in teoria.
“Su richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane […] i parenti, o chi per essi, sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione del feto domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione del feto.”
Quindi, per quanto riguarda la legge, non c’è dubbio sulla libertà di scelta che viene garantita ai genitori. Ma soprattutto alla madre, spetta a lei decidere cosa fare, a seconda di come lei possa vivere un momento particolare e personalissimo come questo. Come spesso accade invece, le informazioni alla donna non vengono quasi mai date esplicitamente. Quando le indicazioni arrivano vengono spesso passate solo verbalmente e si fermano alla possibilità di scegliere se farsi carico o meno della sepoltura.
Come se poi non bastasse l’istituzione ed il riconoscimento di posti come il “Giardino degli angeli” che aiutano, e non di poco, a colpevolizzare la donna che decide di non essere anche madre, in alcuni comuni capita spesso che ci siano degli accordi tra ospedali ed associazioni cattoliche antiabortiste. Facendo leva sulle indicazioni poco precise riportate nel decreto (“chi per essi”), riescono facilmente ad aggiudicarsi la gestione funeraria di tutti quei feti che non superano le 20 settimane. Se poi passano le 24 ore previste di legge per l’opinione dei genitori, allora la gestione del feto passa totalmente in mano a queste associazioni.
Una delle più attive è l’associazione “Difendere la vita con Maria”, attiva in diversi regioni d’Italia e, dati alla mano, responsabile della sepoltura di oltre “200mila bambini non nati” (questa la loro definizione particolarmente comprensiva).
Si tratta di un altro, ennesimo abuso di potere che fa da ostacolo al diritto di scelta della donna il quale, ancora oggi, non sembra mai completamente realizzato, perché schiacciato da opinioni bigotte che sembrano non voler cedere il passo alla responsabilità individuale di chi vuol decidere, liberamente, se diventare o meno una madre.
Antonio Ruggiero