Giornalisti uccisi per mano mafiosa: la storia di Mauro De Mauro

Era il 1996 quando Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, decise di dare vita ad una giornata celebrativa in memoria delle vittime innocenti di mafia, per supportare il dolore di molti familiari di quelle vittime, e per assecondare la richiesta di Carmela Montinaro – madre di Antonio Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone – che aveva denunciato a Don Ciotti il dolore derivante dalla mancanza di “ricordo” circa la morte del figlio.

Nel 2017 lo Stato Italiano ha riconosciuto il 21 marzo come “Giornata Nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie“: ogni anno, durante la celebrazione che coinvolge scuole e associazioni di tutta Italia, vi è l’interminabile lettura pubblica dell’elenco dei nomi delle vittime innocenti di mafia con l’obiettivo di restituire loro un’identità e una dignità.

Una delle categorie più colpite è indubbiamente quella dei giornalisti, che durante la loro carriera hanno provato a denunciare e a smascherare i delitti, le menzogne e i soprusi che ruotano intorno ad una grande macchina da guerra come la mafia, per cercare di dimostrare che in fondo mafia significa Stato, non anti-Stato.

Sono undici i giornalisti uccisi in Italia mentre cercavano di fare il proprio lavoro:  Giuseppe Alfano, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato e Walter Tobagi. La morte di ognuno di loro si colloca in uno scenario di mistero, di mezze verità, di cose non dette e di depistaggi.

Oggi vogliamo approfondire la storia di un giornalista a molti sconosciuto: chi era Mauro De Mauro?

Giornalista originario di Foggia con un passato nelle file del Partito Nazionale Fascista, sostenitore della Repubblica Sociale Italiana e probabilmente intrecciato nell’orrore della strage delle Fosse Ardeatine. Si trasferisce a Palermo nel Dopoguerra e inizia a lavorare con i quotidiani Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e L’Ora.

Il 16 settembre 1970, mentre faceva ritorno a casa dopo una normale giornata lavorativa venne rapito da tre uomini e di lui si persero le tracce: quel che resta è una sola parola, udita dalla figlia che precedeva di poco il padre nell’ingresso in casa, “Amunì”. Seguirono giorni di ricerche, silenzi e sconforto. Che fine aveva fatto Mauro De Mauro?  E di cosa si stava occupando?

Ad investigare sulla sua morte furono il capitano Giuseppe Russo (ucciso da Cosa Nostra nel 1977), il colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa (ucciso da Cosa Nostra nel 1982) e il commissario Boris Giuliano (ucciso da Cosa Nostra nel 1979). Un caso?

Probabilmente De Mauro stava indagando sulla morte di Enrico Mattei o stava preparando degli articoli contro il traffico di stupefacenti in Sicilia: insomma, De Mauro stava scavando verità nascoste che mai sarebbero dovute venire a galla; De Mauro stava facendo il suo lavoro. Fu il super pentito Tommaso Buscetta in un interrogatorio del 1994 a dichiarare che il giornalista era vicino a delle verità importanti sul caso Mattei e che alla prima occasione utile avrebbe pagato con la vita.

Ha pagato Mauro De Mauro nel modo più brutale, come i suoi colleghi di cui sopra: perché probabilmente l’unico modo per imbavagliare chi vive di questo mestiere e chi vive in nome della verità è la morte.

Inutile sottolineare i buchi nell’acqua delle prime due inchieste, le verità mai venute a galla e i numerosi dubbi mai colmati. La prassi è sempre la stessa.

A noi, giovani animati dalla passione per la scrittura e per la verità, probabilmente non resta che cercare di tenere viva la memoria di chi, come Mauro De Mauro e tanti suoi colleghi, ha cercato di cambiare davvero la società e la storia.

Fabiana Brio

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