La settimana scorsa abbiamo scoperto che esiste qualche cosa che si chiama eMergia, e che a causa di ciò, il biofuel e i pannelli solari potrebbero non essere così sostenibili, mentre non esiste pressoché alcun “impatto zero”.
Infatti, una delle regole fondamentali nell’algebra dell’eMergia riguarda proprio i coprodotti di un sistema: se ad esempio la produzione di biogas fosse un coprodotto di un allevamento intensivo di bovini per carne oppure latte, allora quel biogas avrebbe lo stesso impatto negativo che attribuiremmo a un chilo di manzo o un litro di latte. In che modo? Diamo un’occhiata allo schema qui sotto:

Come si può notare, il letame (dal quale si ricaverà biogas) proviene dallo stesso sistema che produce il latte e la carne, il quale può essere un allevamento intensivo – con annessi impatti socioambientali – oppure un allevamento a conduzione familiare che conferisce le deiezioni dei propri bovini a un’azienda che le trasforma in gas. Tuttavia, quando il consumatore acquista biogas, non conosce la sua provenienza, quindi non può sapere se si tratta di una fonte d’energia più o meno sostenibile. Inoltre, se facendo i dovuti calcoli l’eMergia necessaria a produrre la carne risulta essere di – scegliamo un numero a caso – 1500 sej, lo stesso varrà per i coprodotti, quindi il latte, il letame, o eventualmente la pelle utilizzata per fabbricare cuoio. (Se non ricordate cosa significa sej, tornate a leggere qui).
Detto in parole povere, se quei bovini sono stati alimentati ad esempio con la soia proveniente dall’Amazzonia (che ormai sappiamo tutti essere una grave causa di deforestazione), allora dovremo considerare questo input anche quando acquisteremo il biogas, spesso ritenuto una soluzione “sostenibile”, “ecologica”, “non impattante” rispetto ai convenzionali combustibili fossili.
Ci sarebbe molto da dire ancora riguardo all’eMergia, alla sua utilità, alle regole a cui si rifà, ma considerando che l’argomento è già abbastanza complicato (e complimenti se ce l’avete fatta fino a questo punto!) cerchiamo di passare agli aspetti più “pratici” e intriganti: gli indicatori eMergetici.
Indicatori eMergetici: sapere riconoscere quanto è sostenibile un prodotto
Esistono svariati indicatori eMergetici, anche a seconda del gruppo di ricercatori a cui si decide di far riferimento. Quelli più utilizzati hanno a che vedere con la sostenibilità del processo osservato, sia esso un prodotto (una t-shirt, un hamburger eccetera) o un servizio (ad esempio costruire un’autostrada a più corsie in un determinato luogo).
- Rinnovabilità: è la percentuale che si ottiene dividendo gli input rinnovabili utilizzati (energia solare, vento, acqua) per l’eMergia totale in output dal sistema. Ovviamente, più è elevata questa percentuale, più il sistema è virtuoso, poiché significa che sfrutta per lo più risorse rinnovabili.
- Rapporto di carico ambientale: indica il livello di stress causato dal processo sugli ecosistemi, ossia la pressione ambientale, e si ottiene dal rapporto fra l’eMergia derivante da input non rinnovabili rispetto a quelli rinnovabili. Ovviamente è auspicabile che sia il più bassa possibile, ma i risultati potrebbero essere ingannevoli, ad esempio quando gli impatti sono distribuiti su una vasta superficie ambientale.
- Emergy Yield Ratio: consiste nel totale di eMergia in output rispetto all’eMergia investita in input. Consiste di valutare quanto un processo contribuisca allo sviluppo dell’economia rispetto agli investimenti effettuati.
- Indice di sostenibilità eMergetica: si calcola tramite il rapporto dei precedenti due indicatori (eMergy Yield Ratio fratto Rapporto di carico ambientale). Evidentemente esprime la sostenibilità di un processo sul lungo termine: valori maggiori di 1 indicano processi “virtuosi”, che contribuiscono all’ecosistema e alla società, senza pesare eccessivamente sull’ambiente circostante; al contrario, valori inferiori a 1 indicano processi che consumano ingenti risorse non rinnovabili, prevalentemente importati dall’esterno (ad esempio come accade nelle fabbriche di smartphone nel sud-est asiatico, in cui le materie prime vengono importate soprattutto dai paesi dell’Africa, ricchi di metalli preziosi). In generale, più l’indice di sostenibilità eMergetica è elevato, più possiamo essere certi che il sistema stia sfruttando risorse locali rinnovabili, riducendo al minimo il carico ambientale e l’acquisto di input dall’esterno.
Un altro concetto interessante derivante dall’eMergia è l’eMpotenza (empower), vale a dire la quantità di eMergia prodotta in un’unità di tempo (generalmente un secondo oppure un anno). I sistemi complessi infatti, tendono ad auto-riorganizzarsi e – mediante una rete di feedback – efficientare il proprio consumo di energia, ossia riuscire a svolgere le stesse funzioni ma con minori consumi.
A questo punto forse avrete abbandonato ogni speranza riposta nell’espressione “sostenibilità”, e presi da un’inestricabile confusione nella mente, avrete gettato via borracce riutilizzabili, pannelli solari, biciclette e ogni forma di soluzione proposta per ridurre il nostro impatto sull’ambiente.
In breve, in cosa (diamine) consiste la sostenibilità?
Molt* di voi conosceranno la definizione di sostenibilità come l’utilizzo di risorse da parte di una generazione, senza compromettere l’utilizzo da parte delle generazioni future, e anzi, migliorando le loro condizioni. In realtà, la sostenibilità risiede nell’avverarsi di tre condizioni:
- Il generare inquinamento e rifiuti è minore o uguale al riciclare naturalmente;
- Lo sfruttare risorse rinnovabili è minore o uguale al rigenerarle;
- L’estrarre risorse non rinnovabili è nullo, pari a zero.
Eppure al momento la realtà è ben diversa: generare inquinamento e rifiuti, sfruttare risorse rinnovabili ed estrarre quelle non rinnovabili sono tutti fenomeni che superano le capacità dell’ambiente, il quale non riesce né a riciclare, né a rigenerare, tanto meno rimpiazzare ciò che mai più sarà rinnovabile.
Alice Tarditi