Oggi, 20 febbraio, è la Giornata mondiale della Giustizia sociale. Fu istituita dall’ONU nel 2007 per porre l’attenzione sulla necessità di rafforzare la dimensione sociale e raggiungere risultati equi tra le persone e le società nell’era della globalizzazione. Migrazioni, povertà, esclusione, ineguaglianza, sono tra le sfide che si pongono ora nel mondo, difficili da risolvere se non con una visione di cooperazione tra i paesi.
Nelle carceri italiane un terzo dei detenuti è straniero, il tasso di carcerazione degli stranieri regolarmente residenti in Italia è simile a quello degli italiani, ma cresce di molto per coloro che non sono regolari. I poveri, italiani o stranieri, sono i più presenti nelle carceri e, soprattutto, hanno molta più probabilità di recidiva, talvolta perché non hanno altra opzione, così come i tossicodipendenti gravi e le persone con malattie psichiche. Questo, per molti, è sintomo della mancanza di equità nel sistema attuale, una debolezza nel perseguimento della giustizia sociale indicato come obiettivo dalla Costituzione italiana. Una giustizia, quella sociale, che dovrebbe permettere la realizzazione della libertà dell’individuo e dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani.
Abbiamo colto l’occasione per parlare di una figura emersa recentemente agli occhi dell’opinione pubblica italiana, ma che ha alle spalle una carriera nell’ambito giuridico e accademico: Marta Cartabia. Nominata ministro di Giustizia nel nascente governo Draghi in qualità di tecnico, ha dimostrato un’attenzione particolare all’eguaglianza e alla difesa dei diritti fondamentali, con un occhio di riguardo verso coloro che vivono una situazione di fragilità, specialmente a causa di pene e detenzione. Le pubblicazioni e le dichiarazioni che negli anni ha espresso lo confermano. Sostenitrice di una giustizia dal volto umano, che sia riparatrice e non di punizione, così come espresso dall’Articolo 27 della Costituzione italiana, “ la giustizia deve essere capace di bilanciare le esigenze di tutti” – ha dichiarato in una recente intervista rilasciata a Repubblica. La pena deve poter realizzare la riconciliazione tra l’individuo e la società, non allontanare i due elementi in modo irreversibile. Al riguardo ha scritto Un’altra storia inizia qui, in collaborazione con Adolfo Ceretti.
Cartabia presenta un curriculum importante: nel settembre 2020 termina il suo incarico alla Corte Suprema, della quale diventa presidente nel dicembre 2019, è vicina al ruolo delle donne nel diritto e al futuro di incertezza che riguarda i giovani. Con gli studenti entra in contatto diretto grazie alle cattedre in Università estere e italiane. È membro della Società internazionale di Diritto Pubblico e, dal 2017, fa parte della Commissione del Consiglio d’Europa che impartisce pareri tecnici di diritto costituzionale in modo indipendente ai paesi che li richiedano. È stata membro in qualità di esperto indipendente dell’Agenzia dei diritti fondamentali di Vienna, nell’ambito della quale ha presentato un testo in cui si evidenzia la mancata istituzione di una National Human Rights Institution in Italia e in altri 4 Paesi dell’Unione Europea, un’istituzione richiesta già nel 1993 dalle Nazioni Unite.
Il suo curriculum mostra un impegno rivolto alla realizzazione di un diritto che vada oltre il solo livello nazionale; la sua filosofia un’attenzione all’individuo e all’equità. Sono diverse le sfide che si trova ad affrontare in qualità di ministro di Giustizia, dal diritto civile e penale al sistema penitenziario. Considerando anche le difficoltà emerse con l’emergenza sanitaria, alcune riforme saranno necessarie: non resta che vedere in quale misura saranno attuate.
Anna Franzutti