Gli ultimi epocali avvenimenti accaduti in terra USA hanno messo in dubbio non poche certezze riguardo istituzioni, statali e non, che fino a poco fa venivano date per scontate. L’assalto al campidoglio americano da parte dei più fervidi sostenitori del Presidente uscente Donald Trump hanno sollevato forti dubbi sulla solidità della democrazia a stelle e strisce.
Una catastrofe annunciata
Anni di propaganda mediatica portata avanti dal magnate della Casa Bianca, fatta di informazioni fasulle e diffamazioni, hanno avuto come risultato finale lo scatenarsi delle folle, pronte a tutto pur di non permettere la ratifica del passaggio del testimone a danno del loro presidente eletto. L’uso puramente minatorio e provocatorio dei canali mediatici da parte del presidente Trump è finalmente sotto gli occhi di tutti, tanto da causare azioni drastiche da parte delle aziende Big Tech.
Gli account social di Donald Trump relativi a Twitter e Facebook sono stati sospesi. Un ultimo, disperato tentativo è stato l’emigrazione dei trumpiani su Parler, piattaforma social che si propone come alternativa a Twitter, ma le conseguenze sono state immediate. La piattaforma si appoggiava ai server di Amazon, la quale ha subito provveduto a negare l’accesso ai propri supporti online, stroncando sul nascere il tentativo di ricreare un ambiente di aggregazione pro-Trump.
La decisione da parte dei colossi digitali è stata più che mai giustificata dato il caso specifico: quello di un Presidente degli Stati Uniti d’America che diffonde informazioni deviate in un contesto pubblico mettendo a serio rischio, come è accaduto, l’integrità delle istituzioni democratiche di una nazione, dando fake news e propaganda spicciola in pasto ad un elettorato fin troppo manipolabile. Prendendo esempio da ciò che è successo all’ormai ex presidente, c’è da riflettere su una questione che ormai è davanti agli occhi di tutti: chi vigila su chi vigila?
Chi vigila su chi vigila?
È giusto che le aziende della Big Tech decidano cosa meriti la censura e cosa no? Nell’epoca in cui viviamo i social network sono i più importanti canali mediatici esistenti, con tutte le conseguenze che questo primato comporta. Ad oggi, non esiste mezzo più potente di un account verificato per ottenere la più efficace delle campagne elettorali e gli esempi di quanto siano potenti questi mezzi si sprecano, a partire da tutte le realtà politiche italiane.
È ormai chiaro come i canali social equivalgano a quello che ieri potevano essere le pubbliche piazze per la comunicazione politica, per non parlare del fatto che ognuno di noi ha ormai duplicato parte della sua sfera di interessi e relazioni sul proprio account online. Quello che è successo con Donald Trump, ovvero un account zittito per i suoi contenuti di odio e violenza, è ancora giustificabile con “le regole le fa la piattaforma, se non ti attieni sei fuori”?
Cosa succederà alla libertà di espressione?
N.D.R: non si sta mettendo in dubbio i provvedimenti attuati sui profili del presidente, piuttosto viene da chiedersi se questa decisione è stata presa per senso civico o per correre ai ripari da un eventuale accusa di non aver fatto nulla per impedire la diffusione di odio. Ma qui la questione è un’altra, e per ora sembra essere ancora nella primissima fase del dibattito morale. Si può tranquillamente affermare che la socialità di ognuno di noi, nel 2021, si ritrovi in buona parte anche e soprattutto sui social network e le grandi aziende che vi sono dietro possono vantare il possesso di un’enorme quantità di informazioni molto personali di ogni singolo “cliente”.
È ancora giusto considerare Facebook e Twitter delle semplici piattaforme in cui esprimersi liberamente? O una fetta della proprietà di questa pubblica piazza digitale spetta anche agli utenti, senza i quali questi canali sarebbero insignificanti? Continuando nel ragionamento, è lecito che, quando uno degli utenti risulta scomodo, i grandi capi decidano che quest’ultimo merita di essere zittito? E quali sono i criteri per decidere della censura di un utente?
In sostanza, è giusto che una dirigenza aziendale decida del diritto alla parola (seppur digitale) di un individuo, soprattutto se si tratta di un personaggio pubblico, e che quindi contribuisca inevitabilmente al suo destino?
Antonio Ruggiero
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