La Serbia è uno stato schiacciato tra: Croazia, Bosnia, Montenegro, Albania (ma qui dipende se si considera il Kosovo o no), Macedonia del Nord, Bulgaria, Romania e Ungheria. Un vero e proprio melting pot di popoli che nei secoli hanno abitato queste terre, lasciando tracce profonde nella cultura, che di proprio ha ben poco; è infatti una presa in giro ricorrente quella che vorrebbe tutte le cose che vengono considerate serbe, essere in realtà solo prestiti delle nazioni vicine. E allora il caffè è turco, i ćevapčići bosniaci (anche se sulle mitiche grigliate di carne ogni balcanico rivendica la propria paternità), le palačinke ungheresi, la feta greca e il burek chi lo sa! Qui le interazioni sono state talmente tante e frequenti da creare connessioni culinarie impossibili da spezzare.

C’è qualcosa però di autenticamente serbo, una tradizione vecchia di secoli ancora molto amata dalle famiglie, senza distinzione di classe sociale: la Slava, la celebrazione del Santo Protettore della famiglia. Con l’arrivo del Cristianesimo Ortodosso, questa tradizione si è fatta strada nella storia serba, diventando un appuntamento immancabile per famiglia e amici.
Ma partiamo dall’inizio: ogni famiglia serba ha un Santo o più che vegliano su di lei, e questo Santo si “eredita” in modo patrilineare, cioè dalla famiglia del padre. Una donna quindi cambierà Santo Protettore se e quando si dovesse sposare. Di questo Santo la famiglia conserva in casa una figurina in legno, che durante i giorni della Slava viene posto in un piccolo altarino.
La Slava cade sempre tra dicembre e gennaio, ed è per molti più importante del Natale (che cade il 6 gennaio); se infatti questo viene spesso celebrato con una cerchia stretta di parenti, alla Slava partecipa tutta la famiglia e molti amici. Tradizionalmente, per onorare l’ospitalità (sacra nei Balcani), i padroni di casa non invitano le persone, ma queste si presentano alla porta quando vogliono, trovando sempre la tavola imbandita. In tempi antichi, la Slava poteva durare anche una settimana(!), perché è vietato mandare via gli ospiti, o lasciarli senza cibo o rakja. Al giorno d’oggi per ovvi motivi le famiglie tendono a spostare la festa nel fine settimana, e gli ospiti a sloggiare dopo qualche ora.
Nonostante questo, la modernità non ha portato via uno degli aspetti più importanti della celebrazione, ovvero rimpinzarsi di cibo fino a scoppiare. La tavola, dal momento in cui si arriva a quello in cui ci si congeda rimane costantemente coperta di cibo, così come i bicchieri non rimangono mai vuoti. Per poter sfamare e dissetare per due giorni una quantità di persone indefinita, le famiglie ci mettono molto tempo, soldi e fatica, ma per i serbi ne varrà sempre la pena. C’è anche da dire che la Slava si celebra in una casa per tutta la famiglia allargata, proprio perché quella casa sarà luogo di incontro e scambio tra parenti e amici, che a loro volta offriranno ospitalità quando sarà il momento di festeggiare il loro Santo.

A dicembre quindi inizia un tour de force di due mesi, in cui ogni weekend ci sarà una Slava o più, tanti amici e parenti a cui far visita e tante prelibatezze da gustare. Tra questi ricordiamo il koljivo, l’impasto di grano cotto e miele da offrire agli ospiti prima che si mettano a tavola, il kolač, pane della festa, e poi sarma, i tipici involtini di foglie di cavolo, riso e carne macinata, pita, carne allo spiedo e ajvar e dolci alla panna. Il venerdì e durante la Quaresima invece il menù dev’essere di magro, quindi costituito da zuppa di pesce, pesce fritto, zuppa di legumi e dolcetti senza latte, come la baklava.
La Slava è una bellissima tradizione, giustamente preservata, a cui ho avuto la fortuna di partecipare qualche anno fa. Auguro a tutti voi, Covid permettendo, di visitare presto la Serbia e, chissà, essere invitati a questa meravigliosa festa almeno una volta nella vita.
Anna Contesso
Immagine di copertina di: http://www.serbiaincoming.com