Le Olimpiadi del 2020 avrebbero dovuto tenersi quest’estate a Tokyo, ma a causa della pandemia di coronavirus, che da inizio anno imperversa su tutto il mondo, la manifestazione è stata rimandata all’anno prossimo. L’edizione di quest’anno avrebbe dovuto affrontare nuove annose questioni, come quella degli atleti transessuali. Per quanto quest’ultima sia un tema di enorme interesse, in questo articolo ci occuperemo di un’altra problematica che va a toccare il concetto stesso di “sport”: i videogiochi competitivi possono essere considerati degli “sport” a tutti gli effetti?
La questione nasce dal fatto che le olimpiadi stanno sempre di più perdendo popolarità, specialmente tra i giovani, come sottolinea TechCrunch, e il pubblico che segue l’evento sportivo più importante al mondo ha un’età media che va alzandosi di anno in anno. Questa è la ragione per cui alle olimpiadi del 2020 sono stati ammessi nuovi sport come lo skateboarding e il surfing. Ma questa potrebbe essere la strategia errata per attrarre un pubblico più giovane. Come riporta il The Economist, solo il 28% dei ragazzi inglesi tra i 16 e 19 anni segue in diretta uno sport tradizionale, mentre il 57% gioca ai videogiochi. Per questo motivo, gli organizzatoti delle nuove olimpiadi hanno puntato i loro occhi verso i cosiddetti “e-sports”.
L’industria videoludica è stata una delle poche a non aver quasi mai affrontato una crisi e nemmeno il coronavirus è riuscita a farla rallentare. Come riporta Business Insider, ci si aspetta che quest’anno il mercato degli sport competitivi superi 1 miliardo di dollari in guadagni. Il problema, però, è che ancora troppi pregiudizi girano attorno ai videogiochi. Molti ritengono che essi siano attività pericolose che creano dipendenza oppure che incitano alla violenza. Non manca chi pensa che semplicemente siano delle perdite di tempo, come molti altri nuovi lavori nati dal web, ad esempio quello dell’“influencer”. Molte di queste opinioni sono spesso infondate e non si rendono conto dell’enorme mondo che i videogiochi hanno creato.
Come sostiene il The Economist, ci sarebbero delle buone ragioni per far si che i videogiochi competitivi rientrino nella categoria degli “sport”, per quanto non rispettino i parametri di movimento ed atleticità che molti collegano agli sport tradizionali. Innanzitutto, essi richiedono tante abilità quante uno sport convenzionale: i videogiocatori professionali, generalmente, eseguono 5 azioni diverse ogni secondo. Inoltre, i videogames sono molto più accessibili a livello economico rispetto ad altre attività come l’ippica. Infine, essi permettono a diverse persone di poter ottenere una propria fonte di reddito: mentre solo 200 persone riescono a vivere solo grazie alle proprie abilità nel tennis, circa mille giocatori di League Of Legends riescono ad ottenere un buon guadagno.
L’entrata dei videogiochi tra le discipline olimpiche resta un tema ancora fortemente dibattuto, ma sembra che in un prossimo futuro essa possa diventare realtà. Un primo assaggio di questo intreccio fra i due mondi avrebbe dovuto mostrarsi a giugno per l’Intel World Open, ossia un torneo da $500.000, che doveva svolgersi a Tokyo, in cui diversi “atleti” provenienti da diversi parti del mondo si sarebbero dovuti affrontare su due videogiochi, Rocket League e Street Fighter V. L’intento di questo torneo è quello di coinvolgere anche i giocatori più occasionali, ma, a causa del Covid-19, questo appuntamento è stato rimandato al 2021 assieme alle Olimpiadi.
Santiago Olarte