Un piccolo passo avanti nell’applicazione della Legge 194?

Il mai risolto dibattito sull’IVG (interruzione volontaria della gravidanza) si era riacceso a giugno, quando la Regione Umbria, guidata dalla presidente leghista Donatella Tesei, aveva abrogato la decisione presa dalla precedente amministrazione regionale, ripristinando l’obbligo di ricovero ospedaliero di tre giorni per l’assunzione della pillola abortiva, la RU 486. L’IVG infatti – di cui abbiamo parlato più estesamente qui – può avvenire per via chirurgica, oppure, nelle prime fasi della gravidanza, con il metodo farmacologico, tramite l’assunzione di mifepristone (RU 486) seguito a distanza di 48 ore da una prostaglandina. È bene precisare che la RU 486 non ha nulla a che fare con la pillola del giorno dopo, che è invece a tutti gli effetti un anticoncezionale, sebbene d’emergenza. La confusione a riguardo è ancora abbastanza diffusa, al punto che perfino il TG2, nel commentare la notizia, è incappato in questo errore.

La Giunta umbra ha motivato la propria decisione facendo riferimento alle linee guida del Consiglio Superiore della Sanità del 2010 recepite dal Ministero della Salute – che consigliavano il ricovero ordinario, pur lasciando alle Regioni la possibilità di stabilire altrimenti – e alla sicurezza delle donne, che sarebbe stata menomata in caso di day hospital. Tuttavia questa opinione non è stata condivisa da attivisti e associazioni. Infatti, la letteratura scientifica e gli stessi dati del ministero della Salute mostrano una bassa percentuale di complicanze a seguito dell’assunzione delle pillole – che vengono somministrate in altri Paesi europei in regime di day hospital o addirittura dietro prescrizione del medico di famiglia – e inoltre non secondario è il problema di molte donne che non hanno modo di assentarsi dal lavoro o dalla famiglia per tre giorni: in questi casi il ricovero sarebbe per loro fonte di ulteriori disagi. In più, il tempismo della Regione Umbria è stato giudicato altamente inappropriato, perché impone un ricovero superfluo in tempo di emergenza sanitaria, e lo fa in una delibera recante “Linee di indirizzo per le attività sanitarie nella Fase 3”. Non bisogna dimenticare che durante il lockdown le donne che hanno preso la decisione di abortire hanno dovuto fronteggiare disagi molto superiori a quelli che già normalmente si riscontrano a causa dell’elevato numero di obiettori di coscienza: servizi sospesi, rifiuto di accesso ai non residenti, impossibilità di reperire informazioni esatte, etc.

Proprio a seguito delle proteste scatenate dalla decisione della Regione Umbria, quindi, il ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto un nuovo parere all’Istituto Superiore della Sanità e ha dichiarato che verranno aggiornate le linee guida, che prevederanno che il metodo farmacologico potrà eseguirsi in regime di day hospital e la possibilità di assumere la pillola RU 486 fino alla nona settimana di gravidanza (e non più fino alla settima), allineandosi così alla letteratura scientifica, alla prassi di molti altri Paesi e a quanto chiedevano associazioni come LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori per l’Applicazione della 194).

Speriamo che questo costituisca un primo passo per rendere omogeneo sul territorio nazionale il servizio – che finora è stato gestito diversamente tra le Regioni: alcune che prevedevano il day hospital, altre che aggiravano il problema tramite le dimissioni della donna dopo l’assunzione della pillola, altre ancora in cui addirittura la RU 486 non è mai arrivata – e renda più effettivo un diritto di autodeterminazione troppo spesso ostacolato.

Silvia Gemme

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