Il Magic Bus

Nei due mesi di lockdown di marzo e aprile la mia testa non si è rassegnata alla routine e la monotonia della vita in casa. Per fortuna ho potuto sfruttare al meglio la tecnologia e grazie a libri, podcast, vlog e film di viaggi e di luoghi la mia mente non è stata certo ferma. Tra le altre cose, ho rispolverato una delle storie più significative, quella di Christopher McCandless, resa celebre dal libro di Jon Krakauer “Into the wild” prima e dall’omonimo film poi. Per chi ancora non la conoscesse, il mio consiglio è di recuperare il libro o il film, non esisterebbe momento migliore di questo, con le frontiere chiuse e la vita che scorre nei soliti luoghi vicini a casa, per conoscere qualcuno che si è spinto sempre più lontano da ciò che conosceva.

Chris era esausto per la situazione famigliare fin da quando era piccolo, era intelligente e sicuramente aveva un carattere forte. Questi ed altri fattori l’hanno portato a rifiutare tutto ciò che fosse falso e non autentico, l’apparenza e le abitudini sociali, soprattutto quelle del suo contesto di nascita. Appena terminato il college decide di donare tutti i suoi soldi in beneficenza e partire senza dire nulla alla sua famiglia. Gira gli Stati Uniti per due anni conoscendo stili di vita e storie passate di persone molto differenti da ciò che conosceva. Non si accontentò però del mondo cosiddetto civilizzato: voleva di più, circondarsi solo della natura e nient’altro, solo lui e il pianeta. Trovata l’attrezzatura necessaria, inizia un viaggio a piedi in Alaska, dove la natura è più incontaminata. Lì, dopo aver guadato un fiume e aver avanzato sotto la neve, trova un mezzo abbandonato. È il bus 142, dove passerà gli ultimi mesi della sua vita.

Christopher Johnson McCandless in un autoscatto davanti al bus in cui visse i suoi ultimi mesi in Alaska

Chris sicuramente non se lo sarebbe immaginato, ma è diventato un simbolo per i viaggiatori da tutto il mondo e per alcuni di loro è stata una fonte di ispirazione per intraprendere quel tipo di vita. Simbolo della ricerca della verità, dello spingersi oltre per conoscere e vivere esperienze, emozioni e riflessioni. Dell’andare altrove e non porsi limiti, scoprire quanti più lati dell’esistenza possibile. Il Magic Bus, soprannome del rifugio, è diventato destinazione di una sorta di pellegrinaggio laico motivato dal rispetto e dall’ammirazione verso quel ragazzo che ha seguito la sua ricerca della verità fino alle condizioni estreme della natura selvaggia, in solitudine.

Ancora oggi, dopo 30 anni, l’attrazione verso questo luogo è forte: ancora a febbraio di quest’anno 5 italiani sono stati soccorsi dopo aver raggiunto il bus. Tornando indietro avevano perso il tracciato dello Stampede trail e il rischio di congelamento era reale. Non sono gli unici, ogni anno persone provenienti da diverse parti del mondo intraprendono il viaggio, ma la natura dell’Alaska non permette errori, richiede preparazione e attenzione e proprio per questo motivo aveva attirato Chris. La rischiosità della zona è data in primo luogo dal fatto che per arrivare al Bus occorre passare un fiume che nella stagione secca è guadabile con un po’ di difficoltà, ma con la pioggia diventa largo ed impetuoso. Inoltre, come è facilmente immaginabile, il freddo, la neve e il rischio di assideramento sono dietro l’angolo, soprattutto per chi non è esperto delle condizioni estreme della montagna, ma non solo. Non sono pochi coloro che devono essere soccorsi dai responsabili locali e in due casi degli escursionisti hanno perso la vita. A causa della difficoltà del sentiero e l’inevitabile arrivo di persone sul luogo, per evitare ulteriori incidenti gravi le autorità locali stanno valutando se spostare il bus in una zona più accessibile. Ancora non è stato fatto nulla a riguardo, ma, se succedesse, si perderebbe il senso di un simile viaggio e lo spirito che aveva spronato un ragazzo di 24 anni ad intraprendere un’esperienza di vita così intensa e pericolosa.

Anna Franzutti

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