Intervista all’Avvocato Elena Virano, coordinatrice dello sportello torinese dell’associazione onlus “Avvocati di Strada”.
- Avvocato Virano, la vostra associazione è presente in 55 città italiane e conta più di 1000 volontari. Quali obiettivi vi ponete e quali sono le vostre principali attività?
“Con una battuta diciamo spesso che il nostro obiettivo è chiudere l’associazione. Vorrebbe dire che non ci sono più persone che vivono in strada, che subiscono ingiustizie e che devono lottare per far valere i propri diritti fondamentali. Frasi ad effetto a parte, l’obiettivo dell’associazione è duplice. Da un lato vogliamo continuare ad aiutare tutte le persone che vivono in strada a superare i propri problemi legali per favorirne il ritorno ad una vita comune. Dall’altro vogliamo sensibilizzare istituzioni e cittadinanza sui problemi di chi vive in strada e influenzare le scelte che vengono fatte in ambito politico e sociale per evitare le fortissime disuguaglianze che ci sono in questo paese quando si parla di diritti dei più deboli.”
- Quali sono i problemi legali a cui assistete con più frequenza?
“Uno solo, grande: l’esclusione dai diritti. Per le categorie più fragili il mondo del diritto è fruibile solo in astratto perché spesso sono soggetti che hanno sviluppato la convinzione di non avere diritti. I nostri assistiti vedono il mondo della giustizia come inarrivabile, alle volte perfino ostile. Tocca a noi ascoltare i loro racconti e cercare di convincerli che qualcosa si può fare, anche se non hanno denaro e anche se vivono per strada. Per ottenere una separazione, la riscossione di un piccolo credito da lavoro o impugnare una sanzione ingiusta non è necessario essere ricchi, basta avere l’appoggio di un buon avvocato (magari “di strada”!).”
- Quali sono i maggiori bisogni dei senza fissa dimora nel tessuto urbano di Torino, rispetto ad altre realtà cittadine?
“Torino è una città con luci ed ombre. Offre possibilità di presa in carico che in centri minori magari non sono disponibili (ad esempio una residenza fittizia, spesso non prevista dai piccoli comuni). Per contro, però, chi non riesce ad entrare nella rete dei servizi è davvero “invisibile” e si perde in una zona grigia quasi irraggiungibile. Spesso, in una grande città, non può operare quella rete di relazioni sociali che è invece la salvezza di tante piccole realtà.”
- L’attuale emergenza sanitaria pone ulteriori problemi alle fasce più deboli che assistete?
“L’emergenza coronavirus ha avuto effetti molto pesanti su tutti noi e a maggior ragione sui nostri assistiti. Non avere una residenza significa non avere accesso alle cure mediche, se non quelle del Pronto Soccorso. Non avere un domicilio stabile significa non poter avere continuità di controlli e cure e non avere un posto sicuro in cui custodire i farmaci indispensabili. Vivere per strada significa spesso non avere un’alimentazione regolare e bilanciata, adatta alla propria età o alle proprie patologie. In fondo basta pensare a tutte le cose che noi diamo per scontate ogni singolo giorno, dal lavarsi al mattino a ricevere la posta: i nostri assistiti non le hanno.”
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Guido Casavecchia